giovedì 14 agosto 2014

Cosa può raccontare il titolo di un libro?

Ora vi racconto la vita di PI.
Giovane e talentuoso ragazzo, nato in un paese dell’Africa centrale.
Se la mente avesse gli occhi  potrei anche descrivervi nel dettaglio i pensieri curiosi di un ragazzo che voleva avere un futuro ricco e spensierato.
Poi però, all’improvviso e  in “silenzio assoluto”, comparvero aerei e carri armati che parevano avere proprio una certo fascino per la popolazione:  il rombare degli aerei e il meccanico trascinarsi dei carri armati avevano l’eleganza del riccio. A bordo di questi mezzi c’erano uomini  armati ma con dei principi morali e giusti. Ed è per questo che venivano a dare una lezione alla gente del luogo: avrebbero trasformato la città delle bestie in una città civile ed equa.
Tanto erano alte le loro virtù che cominciarono ad eliminare le persone che non erano meritevoli alla loro vista. Perciò Pi venne preso di mira dai raffinati eserciti morali a causa della sua etnia, della sua religione, del suo status….  Insomma a causa di cose che nessuno sa realmente!
Ma in fondo la guerra non si fa per ragione e sentimento di alcun genere. Nemmeno per la fede in Dio: si fa solo perché si hanno le armi. Allora Pi poteva scegliere di non essere perseguitato, rinnegando ciò che era e diventando un soldato dell’esercito dei virtuosi. Ma Pi non se la sentiva di prendere parte ad una guerra figlia del silenzio e dell’odio degli esseri umani. Così Pi venne catturato e fatto prigioniero di Azkaban.
E certo non era facile vivere in prigione! Pi continuava  a ripetere “Io non ho paura” ogni sera per prendere sonno e ogni mattina per darsi il coraggio di affrontare la giornata. Ma poi arrivò la fame a tormentare il povero ragazzo...
Il corpo sa tutto: se stai male, sei hai sete o se hai fame! Il corpo lo sa e Pi iniziò ad esserne consapevole dopo giorni di digiuno. Ed è in cella che cominciarono per il giovane uomo gli Hunger games! infatti Pi rischiò di morire di fame e sete finché un compagno di cella gli spiegò come partecipare ai Giochi della Fame: <<Quando esci dalla cella (1 ora a settimana) devi fare il giro largo per raggiungere la mensa delle guardie! Lì devi rovistare dentro la pattumiera appena fuori dalla sala. Di solito si trova qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti da far durare per la settimana successiva.>>
Così Pi sopravvisse alla morte e uscì di prigione. Ma forse la vita era meglio dentro: il deserto, le bombe, i militanti armati, i trafficanti di vite umane....
Pi era diventato testimone inconsapevole della violenza di cui è capace la razza umana:  gli uomini con la loro guerra avevano spento anche la luna.

Ogni storia ha un titolo e ogni titolo ha una storia... io ho giocato con i titoli di libri famosi per crearne una nuova. Il racconto è di pura fantasia, anche se purtroppo accaduti simili potrebbero essere il passato di  un ospite di un Centro Sprar o di una Comunità per rifugiati politici.

E con questo post stravagante chiudo Servizio e vado in vacanza!!!!
Buon Ferragosto a Tutti!

domenica 3 agosto 2014

Chiedere l'impossibile?


"Le domande che mi pongo sono molte. Abbiamo forse mirato troppo in alto? E' possibile liberare delle persone "bruciate" dall'alcool, dalla droga, dalla criminalità, lasciandole immerse nel proprio ambiente? E' chiedere l'impossibile?[...]
Non lo so. Posso solo dire che ci abbiamo provato. Non sappiamo se sarà tutto un fallimento oppure no. [...]
L'importante per me, per noi, è esserci stati dentro, aver camminato con questa gente che nessuno considerava e aver tentato delle strade per dare dignità a questi volti luminosi."

P. Alex Zanotelli, Korogocho. Alla scuola dei poveri


Questo passaggio è tratto da un libro pieno di vite struggenti ma anche di atti d'amore che padre Zanotelli ci racconta. Un'esperienza in una delle più celebri baraccopoli di Nairobi. Ho avuto modo di "esplorare" una slum l'anno scorso e rileggendo queste righe e altre storie di vite, mi venivano alla mente dei volti, esistenze che non ho più incontrato.

Non posso dire che l'esperienza che sto vivendo in comunità dove sto svolgendo il servizio civile sia paragonabile all'esperienza descritta nel libro "Korogocho", ma in queste parole ho ritrovato delle fatiche quotidiane che alle volte si vivono: lavorare e non sapere se ci sarà un risultato nella vita di quella persona.


Avere delle aspettative nei confronti di quella persona, aspettative che non sono sempre soddisfatte e raggiunte perchè la persona in relazione con te, non è "te".

Ma "l'esserci stati dentro" in quella dimensione significa aver fatto un pezzo di strada con l'altro, dare delle possibilità e degli strumenti di riscatto sociale a quella persona.

"Camminare" significa andare avanti, proiettarsi a un futuro.
"Dare dignità" è l'obiettivo finale: considerare la persona che si ha di fronte con diritti e doveri nei confronti della società, aiutandolo ad essere consapevole di sè.

Sapere che dopo tanta sofferenza si può costruire di nuovo una vita, con delle condizioni diverse da quelle precedenti, magari in un Paese in cui si è capitati e non si è propriamente scelto di arrivare, ecco, è questa consapevolezza che a me dà speranza.