Sono circa le 10.30 quando R. entra nella saletta del Centro d'Ascolto. Io non l'ho mai incontrato prima d'ora, eppure lui mi dice di venire spesso a mangiare in mensa. Ci sediamo, io di fronte a lui. Lo guardo e dentro di me penso che è proprio un 'tipo' originale. Il mio sguardo è attirato dalla sciarpa che ha attorno al collo. È rossa, con delle decorazioni che ricordano il Perù o la Bolivia, eppure lui è italianissimo. Inoltre, la porta in un modo che, per me, è originale per un senza tetto poiché solo una metà gli gira intorno al collo, mentre quasi tutto il resto della sciarpa è libero di andare dove vuole. Sembra un dandy, penso!
Ma, oltre a questa sciarpa bella e sporca, non posso fare a meno di notare il suo cappello.
Un bellissimo cappello a tesa larga, nero, di quelli che vanno di moda ora e che lui, con cura, adagia sulla sedia non appena si accomoda davanti a me.
Non riesco a trattenermi (anzi, confesso, nemmeno ci provo a trattenermi!) e dico: 'Che bel cappello che hai, R.'
Lui sorride. 'è un cappello da capraio.'
Sorrido. Mi guarda. 'Credi davvero che sia bello?'
'Certo che lo credo..e ti dirò che va anche di moda ora!'
'Davvero? Beh, a me l'ha regalato una persona speciale, per questo me lo metto. E poi, sai, con la pioggia è perfetto.. prima che si inzuppi devi stare sotto la pioggia per ore.'
E qui faccio una piccola pausa. Per dire che, è mio solito iniziare un colloquio (termine che detesto!) facendo un piccolo complimento, o una piccola osservazione. Generalmente osservo e commento anelli e orecchini, oppure un filo di trucco diverso dal solito, o un velo con colori più accesi o più cupi, uno smalto sulle unghie appena messo, un broncio insolito se si tratta di bambini o un peluche particolarmente soffice stretto al petto. Osservo e noto una malinconia più evidente, così come un sorriso più gioioso o un viso più stanco e preoccupato.
Non è nulla di speciale, eppure è il mio personalissimo modo per entrare in sintonia con le persone che incontro; è un modo per metterle a loro agio, e fargli capire che qui siamo in 'territorio amico', che non hanno proprio nulla da temere. Molti di loro sono abituati alle scrivanie, alle schede, ai timbri dei commissariati di polizia o delle questure e, fin dai primissimi giorni di servizio, la mia più grande preoccupazione è stata quella di scongiurare il pericolo che il Centro d'Ascolto venisse confuso con luoghi simili perché, anche qui, ci sono scrivanie, timbri e schede da compilare.
Ma, in questura non notano se oggi hai messo lo smalto rosso, e neppure che hai degli orecchini che ti stanno benissimo; non notano, o comunque raramente ti dicono, che oggi sembri felice, e che il tuo bambino è cresciuto ed è ancora più bello.
Ma, se tutte queste cose in questura o nel commissariato di polizia o in banca o alle agenzie del lavoro non te le dicono, al Centro d'Ascolto sì. Perché qui è come essere a casa, dove ci si può permettere di lasciarsi un po' andare, abbassare le difese e ricevere un complimento.
È la mia piccola strategia per mettere a proprio agio chi arriva qui e che, magari, ha qualcosa di faticoso da raccontare (piccola o grande, reale o immaginata che sia la fatica). Ovviamente, non è che dispenso complimenti a chiunque, ma quando noto qualcosa che colpisce in modo particolare il mio interesse e il mio sguardo, non mi trattengo e lo dico.
Così è successo con R., perché il suo cappello davvero mi piaceva. Ed infatti gli dico che ne vorrei tanto uno anche io, ma che, essendo una timida cronica, non ho mai osato comprarne uno perché mi sento arrossire alla sola idea di uscire di casa con un cappello così in testa.
E, a questo punto ecco che R., con tutta la serenità del mondo mi dice: 'Ma che problemi ti fai? Tu sei come sei e non devi avere paura di essere te stessa. Nella vita non bisogna mai avere paura di esporsi al mondo così come noi vogliamo essere.'
Rimango in silenzio. Non so cosa rispondere e non rispondo perché, dopo tutti i libri di filosofi, psicologi, sociologi, teologi, poeti e scrittori che ho letto fino ad ora, nessuno mi ha mai saputo dire con così grande serenità che è bello essere se stessi sempre e comunque, così come è riuscito a dirmelo R. con le sue mani rovinate dal freddo e i suoi abiti impregnati di pioggia.
Ire.
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