mercoledì 30 luglio 2014

Condannare o rieducare?

Durante una delle attività di formazione che spesso svolgiamo per il nostro Servizio Civile, abbiamo affrontato il tema della Giustizia. Ci siamo focalizzati in particolare sulla condizione dei carcerati.
In altre situazioni avevo già approfondito questa tematica, ma la domanda che trovo particolarmente interessante è: davvero la prigione è il modo più giusto con cui una persona condannata possa scontare la sua pena?
Penso, infatti, che un carcerato non abbia possibilità di migliorare la propria vita più di un uccellino nato in cattività. La gabbia non insegna di certo a volare, così come al carcerato non si danno gli strumenti per tonare a vivere in società e guadagnarsi da vivere onestamente.
Ed è per questo che l’ordinamento penitenziario prevede delle misure alternative alla detenzione. Queste sono:

  1. L’affidamento in prova al servizio sociale: viene concessa dopo un periodo di “osservazione” del reo, il cui comportamento viene valutato idoneo a questo tipo misura alternativa alla detenzione. Il condannato passa l’intero periodo della pena da scontare o un residuo di pena in affidamento ai Servizi Sociali. Il percorso che sottoscrive il carcerato  può corrispondere a vere e propri mansioni professionali, a lavori socialmente utili o a programmi terapeutici. Non a caso spesso questa misura fa riferimento a particolari tipologie di  condannati: i condannati militari, i tossico- alcol dipendenti, i soggetti affetti da AIDS conclamata o da altra grave malattia.
  2. La semilibertà: dagli interventi della formazione emerge che questa è una misura riservata a pochi “privilegiati” che vi  possono accedere perché hanno contatti attivi sul territorio ( es. un lavoro o dei corsi di formazione in corso) che permettono al soggetto di passare l’intera giornata all'esterno dell’istituto penitenziario.
  3. La detenzione domiciliare: il presupposto per attuare questa misura è che il reo abbia un domicilio, e ciò non è sempre affatto scontato.

Chi ha il compito di decidere se applicare queste misure che permettono più facilmente al carcerato di imparare a “volare”?
Il Magistrato di Sorveglianza che vigila sull'esecuzione della pena ed interviene in materia di applicazione di misure alternative alla detenzione. È lui che decide se aprire la gabbia ma prima verifica che il carcerato abbia buone risorse nelle quali investire che lo portino poi a essere libero.

È qui entra in gioco l’UEPE.
L’ufficio di esecuzione esterna (UEPE) ha il compito di eseguire, su richiesta del Magistrato di Sorveglianza, le inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il trattamento dei condannati. In poche parole è l’Ufficio che può fornire al Magistrato di Sorveglianza dati utili a tramutare la reclusione in misura alternativa alla detenzione e che opera per assicurare il reinserimento nella società del condannato.  L’UEPE è perciò il Servizio - ponte  tra l’istituto penitenziario e la società nella quale il condannato dovrà costruirsi una nuova vita.

Perciò abbiamo una mano che apre la gabbia ( Magistrato) e una mano che aiuta il condannato a trovare mezzi e risorse sul territorio per imparare a vivere, oltre che a sopravvivere (UEPE).
Se però una di queste mani si chiude a pugno? Se non si valutano al meglio le capacità di buona riuscita del soggetto condannato? Insomma, se all'uccellino che prova a volare si tappano le ali…cosa ne viene fuori? Solo una brutta esperienza di reclusione dove si è capito che si è fatto qualcosa di sbagliato ma di certo non si riescono ad imparare delle buone soluzioni per rimediare davvero a ciò che si è fatto.


Il tema della Giustizia/ Carcere è sicuramente un tema delicato e forse è troppo facile dire che non bisogna solo condannare ma anche provare a rieducare, perciò dobbiamo fermarci a riflettere sulla buona riuscita di un programma detentivo piuttosto che un altro: dai dati emersi durante la formazione, risulta che i soggetti ai quali sono state applicate misure alternative alla detenzione sono molto meno spesso recidivi rispetto agli altri.
Allora forse sarebbe utile "sprecare" un pò del tempo della pena da scontare per imparare a guadagnarsi da vivere onestamente?
In fondo non tutti su questo pianeta siamo nati per essere Santi e forse alcuni sono stati costretti a non esserlo per sopravvivere in una società fatta di sfarzo e vanità.  Ma  proprio per questo dobbiamo fare un passo indietro e capire se chi definiamo “cattivo” lo sarebbe lo stesso anche se avesse avuto la possibilità di scegliere tra il bene e il male.

domenica 27 luglio 2014

150 giorni.


Il disegno, bruttino, è frutto della formazione di metà servizio. Il suo titolo è Moti ondosi che aiutano a crescere e rappresenta il 'mio' fiume dopo questi primi 150 giorni di servizio.. se continuate a leggere sicuramente capite il suo 'perchè'!

Sono stata in Albania, quando ancora c’era il dittatore comunista Hoxa, grazie ai racconti di un papà albanese immigrato in Italia quasi 15 anni fa.

Sono stata in Afaghanistan, con i talebani che minacciano e feriscono con coltelli tutti i ragazzi che non vogliono arruolarsi nell’esercito, così come hanno fatto con Issam. Dall’Afghanistan sono anche scappata, ancora piccola, con Abdul quando la sua mamma l’ha messo su un camion che doveva attraversare il deserto e farlo così fuggire dalla guerra e dal regime.

Sono stata in Ucraina, con i figli di Lyudmyla che coltivano l’orto ma non possono più uscire nemmeno per andare al lavoro perché fuori ormai c’è una guerra. E, in Ucraina, sono stata anche nella casa della sorella di Alina e con i figli di Alina, bombardata per metà. Per fortuna, o per destino, io e i bimbi di Alina eravamo nella parte rimasta miracolosamente in piedi.

Sono stata in Costa d’Avorio, con i figli di Ake che giocano con i nonni, ma non vanno più a scuola perché il loro papà, in Italia, non guadagna più abbastanza per poter mandare i soldi fin laggiù.

Sono stata in Pakistan, con Atif quando ha compiuto 6 anni ma non ha iniziato la scuola. E, ora, a 18, per fare la sua firma è costretto a copiare il suo nome che gli ho scritto io.

Per le vacanze sono tornata con Maria in Moldova, a trovare la sua famiglia. Figlie, figli e nipoti.

Per le vacanze, però, sono stata anche in Burkina Faso con Idriss a trovare la sua mamma che non riabbracciava da ormai 6 anni. E sua moglie. E sua figlia. E sì, certo che gli mancano..

Sono stata anche in Norvegia, con la famiglia di Amir, quando lui è stato ‘beccato’ e rimandato in Italia perché aveva un permesso di soggiorno che lì al nord lo rendeva clandestino.

Sono stata in Sicilia, con Mosson a raccogliere le arance quando, subito dopo il suo arrivo in Italia su uno di quei barconi che vediamo alla tivù, stremato ha iniziato a lavorare per non morire di fame proprio ora che pensava di 'avercela fatta'.

Sono stata in Perù, dal papà di Carmen mentre lui moriva e pensava a quella sua figlia ormai lontana, emigrata in Italia e che non era riuscita a trovare un po’ di soldi nemmeno per raggiungerlo in quegli ultimi momenti.

Sono stata a Pescarenico, in carcere con Giuseppe, dopo che aveva picchiato la moglie. E sono stata con lui anche su quella panchina in riva al lago quando è uscito e non aveva più niente.

Sono stata in Marocco con Zahara, quando ancora era felice perché in casa aveva una macchina da cucire.
In Marocco sono stata anche quando i genitori di Fatima l’hanno promessa sposa di un suo cugino e lei non voleva diventare grande e mettersi quel velo..

In Romania, poi, ci sono stata tante volte. Partendo da qui, ma sempre in pullman e mai in aereo..!

Dalla Somalia e dalla Siria, invece, sono scappata. Non da sola, ma con tanti ragazzi. Io, a 25 anni ero la più grande fra tutti loro.

Sono stata in Senegal con i sei figli di El Hadji che sono talmente numerosi che il loro papà non si ricorda mai le loro date di nascita. Ma quando è arrivato quel pacco di vestiti è stata una festa perché tutti hanno creduto che il loro papà, dall’Italia, pensa anche a loro.

Sono stata nella Repubblica Dominicana quando Ramon ha deciso di partire per l’Italia e raggiungere la moglie, perché a 60 anni non si riesce più a vivere senza la compagna di una vita.

Sono stata in Italia quando il secondo figlio di Elizabeth ha deciso di venire al mondo un po’ troppo presto.

Le storie sono vere. I nomi no. Per rispetto delle storie.

E le storie sono (alcune) di quelle che colorano il 'mio' mondo e che aspettano solo una porta aperta.
E se loro entrano, io, in qualche modo esco, da me stessa.

Le ho scritte così, come sono, senza abbellirle, senza addolcirle né indurirle. Chiedono di essere ascoltate. Mai giudicate. Mai compatite. Mai respinte.

Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
(Fabrizio De Andrè)

Per lo più sono storie di chi ha avuto il coraggio e la forza di andare..e la fortuna (o benedizione) di arrivare. Perché, sì, io ci credo che Migrare è un Diritto e Non un crimine..

(La foto è stata scattata a Berlino.. non in Italia)
Eppure, parlando con tutti gli Issam, con tutti i Mosson, con tutti i Ramon, con tutte le Elizabeth che ho incontrato in questi mesi, so che ancora troppe volte qualcuno li ha guardati come se fossero dei criminali.. e parlando con loro, mi è ritornato in mente un libro che mi ha aiutata a capire questo complesso 'fenomeno' che è la migrazione durante i mesi in cui ho scritto la mia tesi. Si intitola 'La doppia assenza', è stato scritto da un sociologo algerino, Abdelmalek Sayad ed è illuminante per la chiarezza con cui spiega cosa realmente significhi essere straniero.

"L'avvenire è sempre incerto. Costruisci, getti le fondamenta, se sei sicuro di vivere. Dici: è casa mia, la costruisco un pò alla volta, finirò per abitarla. Allora hai un avvenire, hai uno scopo. Ma qui, non vivono realmente, dal momento che non vivono come quelli di qui. Allora, nessuno qui ha un avvenire, nessuno è padrone del proprio avvenire. Non si è mai visto un futuro certo in un paese straniero. è come un orologio: gira, gira. Tutto qui. I giorni, i mesi, gli anni.. Sei in un paese, trascorri la tua gioventù, ci perdi la tua salute, lavori.  [...] L'incertezza vale per tutti: non è vivere, tutto quello che incominci a fare, dici che non lo puoi fare, dato che, prima o poi, non sai mai che cosa può capitare. Sei sul chi vive. E se..? E se..? E se ci rimandano indietro, che cosa sarà di me? Questa è l'emigrazione, questo è vivere da stranieri in un altro paese. [...] Il nostro elghorba (l'esilio) è come qualcuno che arriva in ritardo: arriviamo qui, non sappiamo nulla, dobbiamo scoprire tutto, imparare tutto." 

E se invece, qualcuno scommettesse davvero su di loro? Su Issam, su Mosson, su Elizabeth, su Zahara..?


giovedì 10 luglio 2014


1 2 3……. STELLA!

Uno dei compiti affidatomi dagli educatori della comunità dove svolgo servizio civile, è quello di accompagnare una delle bambine presenti allo spazio gioco.

Si tratta appunto di uno spazio molto ampio con giardino annesso, messo a disposizione da un asilo, dove far giocare i bambini accompagnati dalle loro mamme.

Mi piace l’atmosfera che si respira, gioiosa, divertente, famigliare.