In altre situazioni avevo già approfondito questa tematica, ma la domanda che trovo particolarmente interessante è: davvero la prigione è il modo più giusto con cui una persona condannata possa scontare la sua pena?
Penso, infatti, che un carcerato non abbia possibilità di migliorare la propria vita più di un uccellino nato in cattività. La gabbia non insegna di certo a volare, così come al carcerato non si danno gli strumenti per tonare a vivere in società e guadagnarsi da vivere onestamente.
Ed è per questo che l’ordinamento penitenziario prevede delle misure alternative alla detenzione. Queste sono:
- L’affidamento in prova al servizio sociale: viene concessa dopo un periodo di “osservazione” del reo, il cui comportamento viene valutato idoneo a questo tipo misura alternativa alla detenzione. Il condannato passa l’intero periodo della pena da scontare o un residuo di pena in affidamento ai Servizi Sociali. Il percorso che sottoscrive il carcerato può corrispondere a vere e propri mansioni professionali, a lavori socialmente utili o a programmi terapeutici. Non a caso spesso questa misura fa riferimento a particolari tipologie di condannati: i condannati militari, i tossico- alcol dipendenti, i soggetti affetti da AIDS conclamata o da altra grave malattia.
- La semilibertà: dagli interventi della formazione emerge che questa è una misura riservata a pochi “privilegiati” che vi possono accedere perché hanno contatti attivi sul territorio ( es. un lavoro o dei corsi di formazione in corso) che permettono al soggetto di passare l’intera giornata all'esterno dell’istituto penitenziario.
- La detenzione domiciliare: il presupposto per attuare questa misura è che il reo abbia un domicilio, e ciò non è sempre affatto scontato.
Chi ha il compito di decidere se applicare queste misure che permettono più facilmente al carcerato di imparare a “volare”?
Il Magistrato di Sorveglianza che vigila sull'esecuzione della pena ed interviene in materia di applicazione di misure alternative alla detenzione. È lui che decide se aprire la gabbia ma prima verifica che il carcerato abbia buone risorse nelle quali investire che lo portino poi a essere libero.
È qui entra in gioco l’UEPE.
L’ufficio di esecuzione esterna (UEPE) ha il compito di eseguire, su richiesta del Magistrato di Sorveglianza, le inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il trattamento dei condannati. In poche parole è l’Ufficio che può fornire al Magistrato di Sorveglianza dati utili a tramutare la reclusione in misura alternativa alla detenzione e che opera per assicurare il reinserimento nella società del condannato. L’UEPE è perciò il Servizio - ponte tra l’istituto penitenziario e la società nella quale il condannato dovrà costruirsi una nuova vita.
Perciò abbiamo una mano che apre la gabbia ( Magistrato) e una mano che aiuta il condannato a trovare mezzi e risorse sul territorio per imparare a vivere, oltre che a sopravvivere (UEPE).
Se però una di queste mani si chiude a pugno? Se non si valutano al meglio le capacità di buona riuscita del soggetto condannato? Insomma, se all'uccellino che prova a volare si tappano le ali…cosa ne viene fuori? Solo una brutta esperienza di reclusione dove si è capito che si è fatto qualcosa di sbagliato ma di certo non si riescono ad imparare delle buone soluzioni per rimediare davvero a ciò che si è fatto.
Allora forse sarebbe utile "sprecare" un pò del tempo della pena da scontare per imparare a guadagnarsi da vivere onestamente?
In fondo non tutti su questo pianeta siamo nati per essere Santi e forse alcuni sono stati costretti a non esserlo per sopravvivere in una società fatta di sfarzo e vanità. Ma proprio per questo dobbiamo fare un passo indietro e capire se chi definiamo “cattivo” lo sarebbe lo stesso anche se avesse avuto la possibilità di scegliere tra il bene e il male.
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