lunedì 22 settembre 2014

Il futuro sorride a quelli come noi

(si sa che io sono quella della socialità - in forma di cene, aperitivi, lunedì di pasqua, etc - e delle sviolinate, quindi anche stavolta non abbiatene a male e perdonate la mia onnipresenza sul blog... ma se questo post non lo scrivevo adesso, non lo scrivevo più!)

Ormai so che ogni volta che parto per eventi caritas di più di un giorno parto assonnata e torno megacarica. "Carica" proprio nel senso di piena, piena di nuove informazioni e punti di vista diversi. Ad Albino dai dehoniani erano stati tutti i pasti condivisi ai tavoli rotondi e la presentazione sulle modalità della risposta caritas all'emergenza. All'ultimo campetto di formazione era stata la tavola rotonda sul carcere e lo scambio sul rapporto Dio-serviziocivilecaritas. Stavolta le occasioni sono state molteplici: il dialogo su Expo con un imprenditore, un sociologo e un sindacalista (no, il calciatore non c'era, Lara, mi spiace); l'intervento sugli ogm della domenica mattina (nonostante fosse alla domenica mattina), alcuni degli stand-carrettidelgelato. E soprattutto tutte le nostre conversazioni: dall'origine dell'ebola all'emotività/capacità di provare sentimenti degli animali, passando per i racconti dei mesi estivi (esperienze togolesi, vacanze marittime cogli ospiti, route fra i monti, scoperte alimentari entomologiche) e le ansie/speranze per il futuro.
La cosa che mi stupisce sempre in positivo è quanto siamo sempre attivi e reattivi, pronti a metterci a disposizione (e conseguentemente la nostra capacità di ripiglio e organizzazione)... spostare mille sedie, gestire una caffetteria, smontare uno stand?  Non c'è problema: facciamo tutto noi!! Per me trovare altre 15 (onore ai "caduti"!! =) persone con le quali collaborare e parlare così bene è un evento felice e confortante.

Piccolo Inciso a uso e consumo di chi ci legge e può occuparsene: ci siamo tutti saggiamente chiesti la logica di un catering che serve 3 volte carne in 3 pasti, durante un convegno che parlava di fame, expo, nutrizione e fabbisogni alimentari...

sabato 20 settembre 2014

A metà strada


Ogni giorno, come moltissime persone, prendo il treno per andare in comunità. 

Sarebbe bello avere il servizio sotto casa, ma visto che non è così sfrutto al meglio il tempo del viaggio! 
Arricchendolo il più possibile: è un momento in cui programmo quello che devo fare dopo, rifletto e scrivo quello che è capitato durante la giornata. Non parlo molto, ascolto.
L’ascolto è ciò che vivo spesso durante il servizio: per conoscere l’altra persona è utile usare i silenzi, ci sono racconti di sé che vanno “oltre le parole”. 
Non sempre ci sono parole adatte in tutte le situazioni.
Momenti che possono essere vissuti solo se si abita il silenzio.
Come quando ci si trova in mezzo alla natura: camminare nel silenzio ti dà la possibilità di ricaricare le batterie. 

Abbandonato il mio trenino per qualche tempo, quest’estate ho vissuto delle belle giornate in giro per le montagne, per staccare totalmente dalla quotidianità frenetica e “gustare” le persone con cui ero. “Belle” perché sono stati giorni pieni ma molto semplici e differenti dalla routine cittadina.
Quando tutti i giorni fai spazio all’altro e ti riempi delle loro fatiche, senti l’esigenza di prenderti cura di te, proprio per lavorare meglio con le persone.
Oltre alle chiacchiere, tra i monti, ci sono stati momenti di silenzio assoluto…anche perché la fatica della salita alle volte ti ruba il fiato!

C’eravamo l’uno per l’altro, ci aspettavamo; in sentieri più scoscesi, ci si dava una mano nell’affrontarli. 
Poi c’era il nostro zaino, pieno di tutto il necessario (o anche di cose inutili o in quantità illimitata, tipo il cibo!) e la cartina, da studiare ogni sera prima di affrontare una nuova giornata. 
C'erano i segni che sul sentiero davano sicurezza, non stavi sbagliando strada...oppure se stavi sbagliando potevi tornare al bivio precedente e cambiare direzione.
Insomma, come la nostra vita!
La sera ti raccontavi con il desiderio di condividere un po’ tutto con gli altri e confrontarsi sulle vite che ognuno stava vivendo. 
Il ritorno è stato un nuovo inizio ed ecco, ora sono qui: nel mezzo di intrecci di narrazioni, racconti non per forza detti o scritti, senza spaventarmi di vivere il silenzio.



Camminare è un atto che spoglia, che mette a nudo e ricorda all’uomo l’umiltà e la bellezza della sua condizione” 

Il mondo a piedi. Elogio della marcia, D. Le Breton

mercoledì 3 settembre 2014

Videochiamate dall'aldilà

M se n'è andato. Buffo che come meta abbia scelto una delle mie papabili scelte per il mio futuro (Vienna e il suo Danubio si affacciarono più volte nella rosa delle possibili città dove cercare un lavoro e un terrazzo dove trasferire la mia famiglia di piante - invero decimate da questa estate balorda).

Comunque M se n'è andato e a me è rimasta una leggera amarezza - per il suo italiano che andava davvero migliorando, per le pause pranzo leggere e stupide che ci si poteva concedere con lui, perché speravo fosse uno di quelli che restano per sempre a bazzicare nei dintorni - ma in realtà sotto sotto mi accorgo di avere la vivida speranza che là possa trovare un lavoro e un futuro e una chiesa copta e qualcun'altro da intrattenere in pausa pranzo.

M qui aveva una borsa lavoro in una cascina dove piantava l'insalata, coglieva le more di gelso e imparava parole strane e nuove (come "cartamusica"). Però non andava molto d'accordo con il suo compagno di stanza e di lavoro, stacanovista e gran musone.

M diceva che non è vita se non c'è un sorriso!

M non è rimasto a fare un lavoro qualsiasi in un posto che non gli piaceva e con persone che mal sopportava, ma è andato a cercare la sua fortuna altrove (e in fondo non vorremmo farlo un po' tutti?). Non si è accontentato. E a 24 anni lo trovo sano! Ha passato metà della sua vita chiuso in una chiesa, senza alcuna possibilità di studiare, lavorare o viverne fuori, perché mai dovrebbe dovuto accontentarsi di questo pochissimo che gli offre l'Italia? E allora se n'è andato. Noi che restiamo possiamo solo preparargli una torta d'addio, stampare una foto ricordo e augurargli buona fortuna. C'è di che essere felici per lui, a mio parere, senza pensare che tanto da dove veniva non c'era lavoro e non aveva nulla da fare e allora avrebbe dovuto accontentarsi della prima cosa - che gli permetta di comprarsi il pane - che ha trovato!! Siate affamati, ha detto qualcuno che a noi "occidentali" (i famosi "nati nella parte giusta del mondo") piace tanto, e dunque trovo che sia inutile da parte "nostra" pretendere che lui si accontenti, quando siamo noi per primi a non accontentarci mai.

Nel vocabolario fonetico di M la confusione fra le parole TOPO e TUBO era più che comprensibile - nonostante le lezioni personalizzate, le sillabe mobili, i giochi didattici sul cellulare e tutto il resto - e noi gli volevamo bene anche per questo.


PS: So che sembra che io ne stia parlando come di qualcuno che è morto, ma in effetti per me lo è: un amico ormai lontano, scappato da qui (e lo stanno facendo tutti - non siamo i soli, ormai, ad abbandonare la nave) e che non può neanche scrivermi un sms, una mail, una cartolina per farmi sapere che è arrivato sano e salvo... potrei attendere con ansia una sua videochiamata?!

lunedì 1 settembre 2014

...e mi fondo con il cielo e con il fango...

- Ciao come è andata in Africa?
- Bene grazie!

- Chissà che povertà hai visto!
- No, non la chiamerei così, diciamo che

- Ma hai preso l’ebola?
- Beh..direi di no, fortunatamente li non c’è, i paesi colpiti dal virus sono

- Ma come mai non sei abbronzato?
- Sai, questo è il periodo dove piove spesso e

- Che bravo, sei andato ad aiutare chi ha bisogno!
- In realtà non ho aiutato nessuno, sono andato per

- Ma fa caldo??
- ---

La parte più difficile di un viaggio è sempre il ritorno a casa. 
In confronto viaggiare nel delirio tra il Benin e il Togo è una passeggiata. Non tanto perché mi manca l’Africa o le avventure vissute, intendo la difficoltà nel subire lo scontro frontale tra alcune domande ricevute e la voglia di raccontare veramente l’esperienza vissuta.
Ora..non sono andato in missione, ma ho capito che la vera missione inizia quando si torna a casa, ovvero cercare di trasmettere nel miglior modo possibile l’esperienza vissuta e far capire che certe idee o semplici sentiti dire non sono sempre verità. 
C’è dell’altro


C’è molto altro sotto questo sottile strato su cui ci si sofferma troppo spesso. Bisognerebbe forse scavare, andare un po’ più a fondo nelle cose e dubitare di alcuni luoghi comuni. 
C’è il rischio di si sporcarsi, di trovarsi nel fango… ma ci si sente un po’ più veri.
Ci tenevo a fare questa introduzione perché sento il bisogno di scardinare alcune idee.
Non sono andato in Africa per salvare nessuno, mi spiace se deludo qualcuno, ma ho sempre odiato opinioni di questo tipo. 
Sembra che chi parte per l’Africa sia improvvisamente una persona buona che va a salvare i bambini poveri o a risolvere i problemi di una terra che non conosce neanche. 
Ma non credo sia così, e ora che sono tornato ne sono ancora più convinto!


Per impegni di servizio civile e date non sono riuscito a partire coi cantieri di Caritas e allora mi sono arrangiato organizzandomi un cantiere autonomamente!
Sono andato in Africa, in Togo, nel villaggio di Tsèvie, invitato da un grande amico che mi ha permesso di vivere per 3 settimane con la sua famiglia e scontrarmi con un diverso stile di vita, con un modo diverso di intendere alcune cose. 
Ed è questo che cercavo. 
Sono arrivato in punta di piedi, conoscendo ben poco di dove e come avrei vissuto. 
Volutamente. 
Le aspettative le ho lasciate a casa, non ci stavano nella valigia, pesano troppo e non servono. Ho preferito partire con tanta libertà, quella pesa molto meno e al check-in non fanno storie se ne porti più di 23 kg.


Sono state 3 settimane intense, da pazzi, vissute a pieno, sia nella lentezza di alcuni momenti sia nella viva confusione di altri, condite da una grande dose di avventura che ti fa sentire vivo, ti fa tornare alle origini di te stesso e capisci che forse il nostro modo di intendere la vita non è unico e certo.


In alcuni momenti riesci a sentire il tuo respiro (e anche quello del tuo vicino quando viaggi in 22 su un pulmino da 9…), senti il tuo cuore battere quando ti devi af-fidare a qualcuno che non conosci in una terra straniera, e hai un po’ di timore quando fai visita a un carcere africano e ti ritrovi in mezzo a quasi 300 detenuti togolesi (con sole due guardie, in ciabatte …) poi ti stupisci dell’immensa, costante, puntigliosa (e a volte imbarazzante) accoglienza che si riceve, e il continuamente sentirsi osservato per il colore diverso della pelle e qualche pelo sulle braccia.


Ti da fastidio quando vedi grosse contraddizioni politico-religiose, o la condizione di alcuni ospedali, ma ti fa piacere quando insegni delle attività a dei ragazzi, ed è ancora più bello quando loro le insegnano a te nonostante comunicare sia un po’ difficile...
non puoi che spalancare gli occhi quando vedi scene che neanche lontanamente puoi immaginare... o scopri che un funerale dura 15 giorni …


E a volte rimani in silenzio, spesso, quando ti guardi dentro e vedi qualcosa che cambia, e non sai cos’è.
Ma sei felice.
Perché stai accogliendo il cambiamento come una grazia.
Perché un viaggio ti cambia, anche se non lo vuoi, ti cambia ancora prima di partire, quando nasce il desiderio di andare e guardare… sono gli stimoli, i desideri che ti cambiano, che ti muovono… tutto sta nel avere coraggio ad accoglierli come un dono e affidarsi, mettersi in gioco. 
Con tutti i rischi e le difficoltà che si possono incontrare.


“Fidati del tuo cuore anche se il mare prende fuoco. E vivi per amore anche se le stelle camminano all’indietro. Credi nell’impossibile ed ama con tutto te stesso”

E’ stato un viaggio pazzo, unico, vivo, inaspettato, ricco, avventuroso.
Ho donato forse poco o niente a quella terra, ma non mi intristisce questa cosa.
Ho ricevuto la voglia di essere pazzo, unico, vivo, inaspettato, ricco, avventuroso.

...e soprattutto ho la conferma della gioia che c'è nel fondersi con il cielo e con il fango...



Fabio.