giovedì 6 novembre 2014

Il cappello da capraio

Sono circa le 10.30 quando R. entra nella saletta del Centro d'Ascolto. Io non l'ho mai incontrato prima d'ora, eppure lui mi dice di venire spesso a mangiare in mensa. Ci sediamo, io di fronte a lui. Lo guardo e dentro di me penso che è proprio un 'tipo' originale. Il mio sguardo è attirato dalla sciarpa che ha attorno al collo. È rossa, con delle decorazioni che ricordano il Perù o la Bolivia, eppure lui è italianissimo. Inoltre, la porta in un modo che, per me, è originale per un senza tetto poiché solo una metà gli gira intorno al collo, mentre quasi tutto il resto della sciarpa è libero di andare dove vuole. Sembra un dandy, penso!
Ma, oltre a questa sciarpa bella e sporca, non posso fare a meno di notare il suo cappello.
Un bellissimo cappello a tesa larga, nero, di quelli che vanno di moda ora e che lui, con cura, adagia sulla sedia non appena si accomoda davanti a me.

Non riesco a trattenermi (anzi, confesso, nemmeno ci provo a trattenermi!) e dico: 'Che bel cappello che hai, R.'
Lui sorride. 'è un cappello da capraio.'
Sorrido. Mi guarda. 'Credi davvero che sia bello?'
'Certo che lo credo..e ti dirò che va anche di moda ora!'
'Davvero? Beh, a me l'ha regalato una persona speciale, per questo me lo metto. E poi, sai, con la pioggia è perfetto.. prima che si inzuppi devi stare sotto la pioggia per ore.'



E qui faccio una piccola pausa. Per dire che, è mio solito iniziare un colloquio (termine che detesto!) facendo un piccolo complimento, o una piccola osservazione. Generalmente osservo e commento anelli e orecchini, oppure un filo di trucco diverso dal solito, o un velo con colori più accesi o più cupi, uno smalto sulle unghie appena messo, un broncio insolito se si tratta di bambini o un peluche particolarmente soffice stretto al petto. Osservo e noto una malinconia più evidente, così come un sorriso più gioioso o un viso più stanco e preoccupato.
Non è nulla di speciale, eppure è il mio personalissimo modo per entrare in sintonia con le persone che incontro; è un modo per metterle a loro agio, e fargli capire che qui siamo in 'territorio amico', che non hanno proprio nulla da temere. Molti di loro sono abituati alle scrivanie, alle schede, ai timbri dei commissariati di polizia o delle questure e, fin dai primissimi giorni di servizio, la mia più grande preoccupazione è stata quella di scongiurare il pericolo che il Centro d'Ascolto venisse confuso con luoghi simili perché, anche qui, ci sono scrivanie, timbri e schede da compilare.
Ma, in questura non notano se oggi hai messo lo smalto rosso, e neppure che hai degli orecchini che ti stanno benissimo; non notano, o comunque raramente ti dicono, che oggi sembri felice, e che il tuo bambino è cresciuto ed è ancora più bello.
Ma, se tutte queste cose in questura o nel commissariato di polizia o in banca o alle agenzie del lavoro non te le dicono, al Centro d'Ascolto sì. Perché qui è come essere a casa, dove ci si può permettere di lasciarsi un po' andare, abbassare le difese e ricevere un complimento.

È la mia piccola strategia per mettere a proprio agio chi arriva qui e che, magari, ha qualcosa di faticoso da raccontare (piccola o grande, reale o immaginata che sia la fatica). Ovviamente, non è che dispenso complimenti a chiunque, ma quando noto qualcosa che colpisce in modo particolare il mio interesse e il mio sguardo, non mi trattengo e lo dico.

Così è successo con R., perché il suo cappello davvero mi piaceva. Ed infatti gli dico che ne vorrei tanto uno anche io, ma che, essendo una timida cronica, non ho mai osato comprarne uno perché mi sento arrossire alla sola idea di uscire di casa con un cappello così in testa.
E, a questo punto ecco che R., con tutta la serenità del mondo mi dice: 'Ma che problemi ti fai? Tu sei come sei e non devi avere paura di essere te stessa. Nella vita non bisogna mai avere paura di esporsi al mondo così come noi vogliamo essere.'
Rimango in silenzio. Non so cosa rispondere e non rispondo perché, dopo tutti i libri di filosofi, psicologi, sociologi, teologi, poeti e scrittori che ho letto fino ad ora, nessuno mi ha mai saputo dire con così grande serenità che è bello essere se stessi sempre e comunque, così come è riuscito a dirmelo R. con le sue mani rovinate dal freddo e i suoi abiti impregnati di pioggia. 

Ire.

domenica 26 ottobre 2014

In coda allo sportello sei solo un numero come un altro....

Seguire una pratica burocratica è faticoso, ti fa investire molto tempo e molte energie.
Tutti abbiamo avuto almeno una volta la “bella esperienza” di fare la fila in posta, in Comune o all'ufficio dell' Asl, ma seguire queste pratiche ripetutamente per i nostri ospiti mi ha fatto notare che ci sono delle costanti non piacevoli.
Per prima cosa la confusione che imperversa nella gestione di ogni singola pratica.

 Vi faccio un breve esempio, per l’erogazione di documenti per i richiedenti asilo:
• L’ufficio Asl non eroga la tessera sanitaria se non vi è un nulla osta che dichiara la chiusura della precedente tessera che l’ospite aveva aperto in un’altra Regione italiana (nella quale era stato accolto prima di arrivare al Centro). Ma pare che questo foglio sia richiesto solo dalle Asl della regione Lombardia; perciò le Regioni che devono mandare questo nulla osta rimangono “perplesse” per tale richiesta e ci mettono tempi biblici ad erogare il documento.
• Con il nulla osta l’ufficio Asl eroga la tessera sanitaria, ma sarebbe comunque  meglio se l’ospite avesse già attivo il codice fiscale.
• L’agenzia delle entrate, però, non eroga il codice fiscale se la persona non ha la residenza certificata dal Comune, che può dimostrare solo avendo la Carta d’identità.
• Il Comune dal canto suo non eroga la Carta d’identità se l’ospite non ha un permesso di soggiorno valido per un periodo minimo di sei mesi.
• La Questura - ovviamente-  ha rilasciato permessi di soggiorno che hanno validità di tre mesi....

La seconda costante non piacevole riguarda invece "l’accoglienza amichevole" degli stessi impiegati: tutte le volte che entriamo in uno di questi uffici troviamo un funzionario che- con sguardo vuoto e fare sgarbato- cerca di liquidarci dicendo "Io non ve la posso fare questa pratica perché manca questo, questo e quest’altro!"
Spesso abbiamo dovuto discutere animatamente con questi educatissimi e irremovibili impiegati per ottenere ciò che volevamo. Fortunatamente almeno le tessere sanitarie le hanno erogate anche senza il codice fiscale (e senza discutere): bastava avere il nulla osta; per i codici fiscali invece, non avendo il documento necessario, abbiamo dovuto far valere le nostre ragioni con l’impiegato di turno ricordandogli che le volte precedenti un suo collega aveva accettato un' "autocertificazione" di residenza da parte dell’ospite, in sostituzione del documento.
Insomma alla fine ce l’abbiamo fatta ma ciò non toglie che gli impiegati siano rimasti molto confusi dal nostro intervento perché lo standard della pratica ( che non comprende l’eccezione dei richiedenti asilo)  è stato in qualche modo stravolto.

Cosa dire perciò dell'atteggiamento freddo e sbrigativo dell’impiegato che prova a liquidarti? Bè è questione di efficacia ed efficienza!
Non bisogna perdere tempo perché la coda è lunga! Meglio liquidare la faccenda in fretta....

Sapete, mi ha fatto tanto ridere l’esagerazione con la quale nel film "Benvenuti al Nord" si descrive il funzionamento di una "Posta efficiente". In particolare mi riferisco a quando l’impiegato Volpe cerca di fare delle domande di cortesia alla signora in coda ma viene subito ripreso dal suo superiore:

Volpe : << Buongiorno signora, che mi dice di bello? >>
Colombo :<< Domanda non pertinente! >>
[......]
Colombo: << Sintetizzare, accelerare, sorridere, timbrare! Lei dovrebbe essere gentilmente determinato, scioltamente sintetico, affettuosamente deciso....chiaro? >>
Volpe: << Con tutto il rispetto.... posso andare in bagno? >>

Tratto dal film: Benvenuti al Nord, 2012, regia di Luca Miniero

A seguito delle esperienze da me vissute in prima persona, forse il regista del film non ha esagerato troppo! Molti impiegati devono avere davvero imparato il mantra sintetizzare, accelerare, sorridere, timbrare per cui non ci dobbiamo stupire se quando arriviamo allo sportello non ci guardano nemmeno in faccia e si rivolgono con tono gentilmente determinato (non sgarbato, non sia mai) e scioltamente sintetico (non sbrigativo). Il fatto è che tu sei solo il numero 10 di una lunga coda.... ancora  troppi numeri dopo di te per perderci tempo!


In fondo non è solo colpa loro. Noi  stessi ci aspettiamo ed esigiamo che il nostro turno arrivi in fretta, che gli impiegati siano rapidi nel loro lavoro e che la coda si smaltisca velocemente.

Ormai parto preparata ogni qualvolta devo fare una di queste pratiche: ci saranno sicuramente intoppi, discussioni e troverò anche impiegati che - con fare affettuosamente deciso - mi faranno notare che la mia richiesta li sta occupando per parecchio (sottinteso, troppo) tempo.

Purtroppo in questo modo la persona perde d’importanza di fronte all'investimento di energie: l’impiegato diventa solo uno strumento erogatore di pratiche, che serve tanti numeri in coda.... 





venerdì 10 ottobre 2014

La partita di pallone (o il "quasi miracolo" dei guantoni da portiere)

"Buonasera gentili telespettatori, in diretta dallo stadio oratoriale di Rancio per voi il vostro Gianni Caputo"

"E Josè Altofino"

Gianni: "E' tutto pronto allo stadio oratoriale di Rancio dove nonostante una pioggia battente che ha inzuppato il campo da questo pomeriggio il grande lavoro degli addetti ha consentito il regolare svolgersi di questa finale di gran prestigio per la storia del calcio locale.
In campo tra pochi minuti infatti si sfideranno le rappresentative di Casa Abramo e la favorita Via dell' Isola ma nel calcio non si può mai dire!
Nuvole, nuvole nere minacciano tempesta questa sera, ma non è tempo di fare pronostici, ne sul campo ne sul tempo... sarà battaglia vera  quella che ci aspetta stasera.. la posta in palio è alta.. chi sarà il prossimo vincitore del Mundialito? Massimo dacci le ultime dal campo"

Massimo: "Sì.. allora.. vi confermo le anticipazioni della vigilia, nonostante il brutto infortunio patito domenica Via dell' Isola ha recuperato in extremis il suo regista difensivo Robert che partirà dall'inizio. Nessuna novità per le due formazioni che si schiereranno tutte col 2-1-1.
Qui il campo non promette bene anche se si sta affacciando qualche timido raggio di sole, la notevole quantità d'acqua caduta nei giorni scorsi ha dato un bel da fare agli addetti al campo per presentarlo al meglio che si poteva. Campo quindi in non perfette condizioni, ma la cosa non sembra procurare grossi problemi alle due squadre che sono apparse molto concentrate nel lavoro di rifinitura."

G. "Grazie Massimo.. ecco ci sono appena arrivate le formazioni Ufficiali: Casa Abramo si schiera con Corti in porta, difesa a 2 con Abdel Massih e Mario, a centrocampo la stella Ghirmay e in attacco l'insidioso Robel.
Di fronte, gli isolotti scendono in campo con Marcello tra i pali Edo e Robert in difesa, centrocampo di grande qualità con Rocco e attacco super con Sargiat a disposizione Roberto e Enok. Nessun uomo in panchina per la comunità di Casa Abramo che deve schierare questa formazione forzata."

G. "Bene, vedo le squadre che stanno ultimando il riscaldamento. SUPERSPOT!"


G. "Eccoci e ben ritrovati, le squadre sono già in campo.. tutto è pronto... e... partiti!

E' subito via dell'Isola che parte bene con una discreta circolazione di palla, Edo imposta l'azione lancio lungo a cercare Sargiat.. troppo lungo la palla si perde sul fondo."

J. "Una brutta palla per Sargiat che non poteva controllare.. mi sembrano partiti un po' deconcentrati gli isolotti.."

G. "Rimessa dal fondo.. errore di Corti che favorisce Rocco, uno due con Sargiat.. Tiro... GOOAAALL!!! 1 a 0 per gli isolotti.. nessuno si aspettava un inizio così.."

J. "Incredibile amisci.. nessuno si aspettava un errore così da parte di un portiere esperto come Corti, Casa Abramo è già in difficoltà... e sotto per una rete a zero!"

G. "Sì Josè, nessuno si aspettava una partenza così, vediamo ora come reagiscono i ragazzi guidati da Micaela Furiosi.."

G."Ripartiti! Ora è Casa Abramo a gestire il pallone, Robel per Ghirmay che la gira a Abdel Massih, da Abel a Mario, da Mario ad Abdel.. lancio lungo completamente fuori misura.."

J." Abdel è un buon difensore, ma mamma mia! Ogni tanto sembra che gli hanno montato i piedi al contrario.."

G. "Riparte via dell'isola.. tentativo da lontano di Sargiat.. alto sulla traversa! Cosa ne pensi Josè?"

J." Partita frizzantina, molto meglio gli isolotti.. Casa Abramo pare aver subito il colpo.."

G. "Palla a Ghirmay che parte dalla difesa, scarta un avversario.. ne scarta due.. tre.. è al limite dell'aria.. tiro... fuori!!!"

J. "No! c'era Robel a centro area completamente libero.. quel ragazzo è troppo fiducioso nei suoi mezzi.. ai miei tempi si chiamavano veneziani!"

G. "Senza offesa per gli abitanti della laguna sembra che l'Eritreo abbia passato molte ore a mollo nella città più romantica del mondo.. vedo movimento a bordo campo.. Massimo?"

M." Sì Gianni, Edo l'allenatore in campo ha chiesto il cambio.. Pare sia  Enok l'uomo designato  a rilevare il capitano.."

G."Stanchezza o dobbiamo aspettarci qualcosa di più serio?"

M."No Gianni.. Pare sia la tattica degli isolotti, cambi volanti molto frequenti, la squadra in generale non gode di ottima forma.."

G."Grazie Massimo.. Ancora Casa Abramo che fraseggia al limite dell'area.. palla a Ghirmay.. filtrante per Abdel Massih.. tiro... GOAAALL!!"

J."Che palla amisci.. da vero poeta del calscio!"

G. "Gran goal per Casa Abramo che riporta il risultato in parità.. 1 a 1!"

G. "Palla a Robert che con la sua classe si sbarazza di Robel palla a Rocco.. siamo 1 contro 1.. Casa Abramo si è scoperta.. Mario in un tentativo estremo urla cercando di deconcentrare l'avversario, urla di guerra, urla di pura foga agonistica.. tiro... fuori... le urla di Mario hanno davvero disturbato l'attaccante.."

J."Comportameto antisportivo.. incredibile amisci.. l'arbitro non ha rilevato nulla di irregolare.. incredibile amisci.."

G. "Sì in effetti non un bel gesto da parte del difensore di Casa Abramo."

G."Palla a Robel scarta un avversario tiro.. palo!!"

J."Che azione per Casa Abramo.. Peccato sia andata a finire così.."

M."Cambio tra le file degli isolotti Roberto rileva Rocco.. "

G."Grazie Massimo  puntuale come sempre.. Ripartono gli isolotti...Casa Aramo alza il pressing.. Enok lancia Sargiat che vede l'inserimento del neo entrato Roberto è solo davanti a Corti.. Tiro.. Corti intercetta ma non trattiene.. la palla che si dirige verso la porta.. proprio nell'angolo dove Corti aveva riposto i guantoni dopo aver preso il goal del momentaneo uno a zero.. la palla impatta coi guantoni.. la palla rimane li.. Corti si fionda a riprenderla.. ce l'ha in mano... sono tutti intorno all'arbitro.. la situazione è tesa.. Corti fa ampi gesti di no con la mano.. ma l'arbitro convalida.. ed è GOOOAALLL! 2 a 1 per gli isolotti.. i ragazzi di Casa Abramo sono ancora tutti intorno all'arbitro a protestare ma il signor Bianchi di Genova  è irremovibile.."

J."Era dai tempi di Bordon che non si vedeva un portiere senza guantoni.. e stavano per salvare Casa Abramo.. peccato.."

G."Dal replay il miracolo era bell' e compiuto! Si vede chiaramente che la palla non aveva superato la linea di porta.. goal dunque irregolare.. a quando la moviola in campo?"

J."Quando gli asini voleranno.."

G."Speriamo che la Nasa dopo averci portato sulla Luna spedisca in orbita uno dei nostri amici allora!"

G."Ripartiti.. Reazione di rabbia di Casa Abramo che si presenta al limite con Abdel Massih tiro... fuori oltre le barriere.. palla bandita!"

J."Non mi stancherò mai di dirlo.. questo ragazzo ha grandissime doti ma non fatelo tirare!!!"

G."L'arbitro a colloquio col guardalinee.. Sospende la gara.. Non c'è un pallone di scorta.. incredibile amici.."

J."E' uno scandalo amisci.. chi tutela i tifosi accorsi numerosi.. non è possibile! una delle pagine più nere del calcio locale.."

G."Sì è veramente un brutto spettacolo quello a cui stiamo assistendo.. tutti aspettavamo con ansia questa partita.. ma il calcio è così.. "

J."E così ce lo teniamo.. purtroppo!"

G." Quindi per il momento è tutto, ricordiamo.. gara sospesa al minuto 21 col risultato di 2 a 1 per gli uomini di Via dell' Isola.. un saluto da Gianni Caputo.."

J."E da Josè Altofino!"

G."Buonanotte e buon calcio a tutti!"

lunedì 22 settembre 2014

Il futuro sorride a quelli come noi

(si sa che io sono quella della socialità - in forma di cene, aperitivi, lunedì di pasqua, etc - e delle sviolinate, quindi anche stavolta non abbiatene a male e perdonate la mia onnipresenza sul blog... ma se questo post non lo scrivevo adesso, non lo scrivevo più!)

Ormai so che ogni volta che parto per eventi caritas di più di un giorno parto assonnata e torno megacarica. "Carica" proprio nel senso di piena, piena di nuove informazioni e punti di vista diversi. Ad Albino dai dehoniani erano stati tutti i pasti condivisi ai tavoli rotondi e la presentazione sulle modalità della risposta caritas all'emergenza. All'ultimo campetto di formazione era stata la tavola rotonda sul carcere e lo scambio sul rapporto Dio-serviziocivilecaritas. Stavolta le occasioni sono state molteplici: il dialogo su Expo con un imprenditore, un sociologo e un sindacalista (no, il calciatore non c'era, Lara, mi spiace); l'intervento sugli ogm della domenica mattina (nonostante fosse alla domenica mattina), alcuni degli stand-carrettidelgelato. E soprattutto tutte le nostre conversazioni: dall'origine dell'ebola all'emotività/capacità di provare sentimenti degli animali, passando per i racconti dei mesi estivi (esperienze togolesi, vacanze marittime cogli ospiti, route fra i monti, scoperte alimentari entomologiche) e le ansie/speranze per il futuro.
La cosa che mi stupisce sempre in positivo è quanto siamo sempre attivi e reattivi, pronti a metterci a disposizione (e conseguentemente la nostra capacità di ripiglio e organizzazione)... spostare mille sedie, gestire una caffetteria, smontare uno stand?  Non c'è problema: facciamo tutto noi!! Per me trovare altre 15 (onore ai "caduti"!! =) persone con le quali collaborare e parlare così bene è un evento felice e confortante.

Piccolo Inciso a uso e consumo di chi ci legge e può occuparsene: ci siamo tutti saggiamente chiesti la logica di un catering che serve 3 volte carne in 3 pasti, durante un convegno che parlava di fame, expo, nutrizione e fabbisogni alimentari...

sabato 20 settembre 2014

A metà strada


Ogni giorno, come moltissime persone, prendo il treno per andare in comunità. 

Sarebbe bello avere il servizio sotto casa, ma visto che non è così sfrutto al meglio il tempo del viaggio! 
Arricchendolo il più possibile: è un momento in cui programmo quello che devo fare dopo, rifletto e scrivo quello che è capitato durante la giornata. Non parlo molto, ascolto.
L’ascolto è ciò che vivo spesso durante il servizio: per conoscere l’altra persona è utile usare i silenzi, ci sono racconti di sé che vanno “oltre le parole”. 
Non sempre ci sono parole adatte in tutte le situazioni.
Momenti che possono essere vissuti solo se si abita il silenzio.
Come quando ci si trova in mezzo alla natura: camminare nel silenzio ti dà la possibilità di ricaricare le batterie. 

Abbandonato il mio trenino per qualche tempo, quest’estate ho vissuto delle belle giornate in giro per le montagne, per staccare totalmente dalla quotidianità frenetica e “gustare” le persone con cui ero. “Belle” perché sono stati giorni pieni ma molto semplici e differenti dalla routine cittadina.
Quando tutti i giorni fai spazio all’altro e ti riempi delle loro fatiche, senti l’esigenza di prenderti cura di te, proprio per lavorare meglio con le persone.
Oltre alle chiacchiere, tra i monti, ci sono stati momenti di silenzio assoluto…anche perché la fatica della salita alle volte ti ruba il fiato!

C’eravamo l’uno per l’altro, ci aspettavamo; in sentieri più scoscesi, ci si dava una mano nell’affrontarli. 
Poi c’era il nostro zaino, pieno di tutto il necessario (o anche di cose inutili o in quantità illimitata, tipo il cibo!) e la cartina, da studiare ogni sera prima di affrontare una nuova giornata. 
C'erano i segni che sul sentiero davano sicurezza, non stavi sbagliando strada...oppure se stavi sbagliando potevi tornare al bivio precedente e cambiare direzione.
Insomma, come la nostra vita!
La sera ti raccontavi con il desiderio di condividere un po’ tutto con gli altri e confrontarsi sulle vite che ognuno stava vivendo. 
Il ritorno è stato un nuovo inizio ed ecco, ora sono qui: nel mezzo di intrecci di narrazioni, racconti non per forza detti o scritti, senza spaventarmi di vivere il silenzio.



Camminare è un atto che spoglia, che mette a nudo e ricorda all’uomo l’umiltà e la bellezza della sua condizione” 

Il mondo a piedi. Elogio della marcia, D. Le Breton

mercoledì 3 settembre 2014

Videochiamate dall'aldilà

M se n'è andato. Buffo che come meta abbia scelto una delle mie papabili scelte per il mio futuro (Vienna e il suo Danubio si affacciarono più volte nella rosa delle possibili città dove cercare un lavoro e un terrazzo dove trasferire la mia famiglia di piante - invero decimate da questa estate balorda).

Comunque M se n'è andato e a me è rimasta una leggera amarezza - per il suo italiano che andava davvero migliorando, per le pause pranzo leggere e stupide che ci si poteva concedere con lui, perché speravo fosse uno di quelli che restano per sempre a bazzicare nei dintorni - ma in realtà sotto sotto mi accorgo di avere la vivida speranza che là possa trovare un lavoro e un futuro e una chiesa copta e qualcun'altro da intrattenere in pausa pranzo.

M qui aveva una borsa lavoro in una cascina dove piantava l'insalata, coglieva le more di gelso e imparava parole strane e nuove (come "cartamusica"). Però non andava molto d'accordo con il suo compagno di stanza e di lavoro, stacanovista e gran musone.

M diceva che non è vita se non c'è un sorriso!

M non è rimasto a fare un lavoro qualsiasi in un posto che non gli piaceva e con persone che mal sopportava, ma è andato a cercare la sua fortuna altrove (e in fondo non vorremmo farlo un po' tutti?). Non si è accontentato. E a 24 anni lo trovo sano! Ha passato metà della sua vita chiuso in una chiesa, senza alcuna possibilità di studiare, lavorare o viverne fuori, perché mai dovrebbe dovuto accontentarsi di questo pochissimo che gli offre l'Italia? E allora se n'è andato. Noi che restiamo possiamo solo preparargli una torta d'addio, stampare una foto ricordo e augurargli buona fortuna. C'è di che essere felici per lui, a mio parere, senza pensare che tanto da dove veniva non c'era lavoro e non aveva nulla da fare e allora avrebbe dovuto accontentarsi della prima cosa - che gli permetta di comprarsi il pane - che ha trovato!! Siate affamati, ha detto qualcuno che a noi "occidentali" (i famosi "nati nella parte giusta del mondo") piace tanto, e dunque trovo che sia inutile da parte "nostra" pretendere che lui si accontenti, quando siamo noi per primi a non accontentarci mai.

Nel vocabolario fonetico di M la confusione fra le parole TOPO e TUBO era più che comprensibile - nonostante le lezioni personalizzate, le sillabe mobili, i giochi didattici sul cellulare e tutto il resto - e noi gli volevamo bene anche per questo.


PS: So che sembra che io ne stia parlando come di qualcuno che è morto, ma in effetti per me lo è: un amico ormai lontano, scappato da qui (e lo stanno facendo tutti - non siamo i soli, ormai, ad abbandonare la nave) e che non può neanche scrivermi un sms, una mail, una cartolina per farmi sapere che è arrivato sano e salvo... potrei attendere con ansia una sua videochiamata?!

lunedì 1 settembre 2014

...e mi fondo con il cielo e con il fango...

- Ciao come è andata in Africa?
- Bene grazie!

- Chissà che povertà hai visto!
- No, non la chiamerei così, diciamo che

- Ma hai preso l’ebola?
- Beh..direi di no, fortunatamente li non c’è, i paesi colpiti dal virus sono

- Ma come mai non sei abbronzato?
- Sai, questo è il periodo dove piove spesso e

- Che bravo, sei andato ad aiutare chi ha bisogno!
- In realtà non ho aiutato nessuno, sono andato per

- Ma fa caldo??
- ---

La parte più difficile di un viaggio è sempre il ritorno a casa. 
In confronto viaggiare nel delirio tra il Benin e il Togo è una passeggiata. Non tanto perché mi manca l’Africa o le avventure vissute, intendo la difficoltà nel subire lo scontro frontale tra alcune domande ricevute e la voglia di raccontare veramente l’esperienza vissuta.
Ora..non sono andato in missione, ma ho capito che la vera missione inizia quando si torna a casa, ovvero cercare di trasmettere nel miglior modo possibile l’esperienza vissuta e far capire che certe idee o semplici sentiti dire non sono sempre verità. 
C’è dell’altro


C’è molto altro sotto questo sottile strato su cui ci si sofferma troppo spesso. Bisognerebbe forse scavare, andare un po’ più a fondo nelle cose e dubitare di alcuni luoghi comuni. 
C’è il rischio di si sporcarsi, di trovarsi nel fango… ma ci si sente un po’ più veri.
Ci tenevo a fare questa introduzione perché sento il bisogno di scardinare alcune idee.
Non sono andato in Africa per salvare nessuno, mi spiace se deludo qualcuno, ma ho sempre odiato opinioni di questo tipo. 
Sembra che chi parte per l’Africa sia improvvisamente una persona buona che va a salvare i bambini poveri o a risolvere i problemi di una terra che non conosce neanche. 
Ma non credo sia così, e ora che sono tornato ne sono ancora più convinto!


Per impegni di servizio civile e date non sono riuscito a partire coi cantieri di Caritas e allora mi sono arrangiato organizzandomi un cantiere autonomamente!
Sono andato in Africa, in Togo, nel villaggio di Tsèvie, invitato da un grande amico che mi ha permesso di vivere per 3 settimane con la sua famiglia e scontrarmi con un diverso stile di vita, con un modo diverso di intendere alcune cose. 
Ed è questo che cercavo. 
Sono arrivato in punta di piedi, conoscendo ben poco di dove e come avrei vissuto. 
Volutamente. 
Le aspettative le ho lasciate a casa, non ci stavano nella valigia, pesano troppo e non servono. Ho preferito partire con tanta libertà, quella pesa molto meno e al check-in non fanno storie se ne porti più di 23 kg.


Sono state 3 settimane intense, da pazzi, vissute a pieno, sia nella lentezza di alcuni momenti sia nella viva confusione di altri, condite da una grande dose di avventura che ti fa sentire vivo, ti fa tornare alle origini di te stesso e capisci che forse il nostro modo di intendere la vita non è unico e certo.


In alcuni momenti riesci a sentire il tuo respiro (e anche quello del tuo vicino quando viaggi in 22 su un pulmino da 9…), senti il tuo cuore battere quando ti devi af-fidare a qualcuno che non conosci in una terra straniera, e hai un po’ di timore quando fai visita a un carcere africano e ti ritrovi in mezzo a quasi 300 detenuti togolesi (con sole due guardie, in ciabatte …) poi ti stupisci dell’immensa, costante, puntigliosa (e a volte imbarazzante) accoglienza che si riceve, e il continuamente sentirsi osservato per il colore diverso della pelle e qualche pelo sulle braccia.


Ti da fastidio quando vedi grosse contraddizioni politico-religiose, o la condizione di alcuni ospedali, ma ti fa piacere quando insegni delle attività a dei ragazzi, ed è ancora più bello quando loro le insegnano a te nonostante comunicare sia un po’ difficile...
non puoi che spalancare gli occhi quando vedi scene che neanche lontanamente puoi immaginare... o scopri che un funerale dura 15 giorni …


E a volte rimani in silenzio, spesso, quando ti guardi dentro e vedi qualcosa che cambia, e non sai cos’è.
Ma sei felice.
Perché stai accogliendo il cambiamento come una grazia.
Perché un viaggio ti cambia, anche se non lo vuoi, ti cambia ancora prima di partire, quando nasce il desiderio di andare e guardare… sono gli stimoli, i desideri che ti cambiano, che ti muovono… tutto sta nel avere coraggio ad accoglierli come un dono e affidarsi, mettersi in gioco. 
Con tutti i rischi e le difficoltà che si possono incontrare.


“Fidati del tuo cuore anche se il mare prende fuoco. E vivi per amore anche se le stelle camminano all’indietro. Credi nell’impossibile ed ama con tutto te stesso”

E’ stato un viaggio pazzo, unico, vivo, inaspettato, ricco, avventuroso.
Ho donato forse poco o niente a quella terra, ma non mi intristisce questa cosa.
Ho ricevuto la voglia di essere pazzo, unico, vivo, inaspettato, ricco, avventuroso.

...e soprattutto ho la conferma della gioia che c'è nel fondersi con il cielo e con il fango...



Fabio.

giovedì 14 agosto 2014

Cosa può raccontare il titolo di un libro?

Ora vi racconto la vita di PI.
Giovane e talentuoso ragazzo, nato in un paese dell’Africa centrale.
Se la mente avesse gli occhi  potrei anche descrivervi nel dettaglio i pensieri curiosi di un ragazzo che voleva avere un futuro ricco e spensierato.
Poi però, all’improvviso e  in “silenzio assoluto”, comparvero aerei e carri armati che parevano avere proprio una certo fascino per la popolazione:  il rombare degli aerei e il meccanico trascinarsi dei carri armati avevano l’eleganza del riccio. A bordo di questi mezzi c’erano uomini  armati ma con dei principi morali e giusti. Ed è per questo che venivano a dare una lezione alla gente del luogo: avrebbero trasformato la città delle bestie in una città civile ed equa.
Tanto erano alte le loro virtù che cominciarono ad eliminare le persone che non erano meritevoli alla loro vista. Perciò Pi venne preso di mira dai raffinati eserciti morali a causa della sua etnia, della sua religione, del suo status….  Insomma a causa di cose che nessuno sa realmente!
Ma in fondo la guerra non si fa per ragione e sentimento di alcun genere. Nemmeno per la fede in Dio: si fa solo perché si hanno le armi. Allora Pi poteva scegliere di non essere perseguitato, rinnegando ciò che era e diventando un soldato dell’esercito dei virtuosi. Ma Pi non se la sentiva di prendere parte ad una guerra figlia del silenzio e dell’odio degli esseri umani. Così Pi venne catturato e fatto prigioniero di Azkaban.
E certo non era facile vivere in prigione! Pi continuava  a ripetere “Io non ho paura” ogni sera per prendere sonno e ogni mattina per darsi il coraggio di affrontare la giornata. Ma poi arrivò la fame a tormentare il povero ragazzo...
Il corpo sa tutto: se stai male, sei hai sete o se hai fame! Il corpo lo sa e Pi iniziò ad esserne consapevole dopo giorni di digiuno. Ed è in cella che cominciarono per il giovane uomo gli Hunger games! infatti Pi rischiò di morire di fame e sete finché un compagno di cella gli spiegò come partecipare ai Giochi della Fame: <<Quando esci dalla cella (1 ora a settimana) devi fare il giro largo per raggiungere la mensa delle guardie! Lì devi rovistare dentro la pattumiera appena fuori dalla sala. Di solito si trova qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti da far durare per la settimana successiva.>>
Così Pi sopravvisse alla morte e uscì di prigione. Ma forse la vita era meglio dentro: il deserto, le bombe, i militanti armati, i trafficanti di vite umane....
Pi era diventato testimone inconsapevole della violenza di cui è capace la razza umana:  gli uomini con la loro guerra avevano spento anche la luna.

Ogni storia ha un titolo e ogni titolo ha una storia... io ho giocato con i titoli di libri famosi per crearne una nuova. Il racconto è di pura fantasia, anche se purtroppo accaduti simili potrebbero essere il passato di  un ospite di un Centro Sprar o di una Comunità per rifugiati politici.

E con questo post stravagante chiudo Servizio e vado in vacanza!!!!
Buon Ferragosto a Tutti!

domenica 3 agosto 2014

Chiedere l'impossibile?


"Le domande che mi pongo sono molte. Abbiamo forse mirato troppo in alto? E' possibile liberare delle persone "bruciate" dall'alcool, dalla droga, dalla criminalità, lasciandole immerse nel proprio ambiente? E' chiedere l'impossibile?[...]
Non lo so. Posso solo dire che ci abbiamo provato. Non sappiamo se sarà tutto un fallimento oppure no. [...]
L'importante per me, per noi, è esserci stati dentro, aver camminato con questa gente che nessuno considerava e aver tentato delle strade per dare dignità a questi volti luminosi."

P. Alex Zanotelli, Korogocho. Alla scuola dei poveri


Questo passaggio è tratto da un libro pieno di vite struggenti ma anche di atti d'amore che padre Zanotelli ci racconta. Un'esperienza in una delle più celebri baraccopoli di Nairobi. Ho avuto modo di "esplorare" una slum l'anno scorso e rileggendo queste righe e altre storie di vite, mi venivano alla mente dei volti, esistenze che non ho più incontrato.

Non posso dire che l'esperienza che sto vivendo in comunità dove sto svolgendo il servizio civile sia paragonabile all'esperienza descritta nel libro "Korogocho", ma in queste parole ho ritrovato delle fatiche quotidiane che alle volte si vivono: lavorare e non sapere se ci sarà un risultato nella vita di quella persona.


Avere delle aspettative nei confronti di quella persona, aspettative che non sono sempre soddisfatte e raggiunte perchè la persona in relazione con te, non è "te".

Ma "l'esserci stati dentro" in quella dimensione significa aver fatto un pezzo di strada con l'altro, dare delle possibilità e degli strumenti di riscatto sociale a quella persona.

"Camminare" significa andare avanti, proiettarsi a un futuro.
"Dare dignità" è l'obiettivo finale: considerare la persona che si ha di fronte con diritti e doveri nei confronti della società, aiutandolo ad essere consapevole di sè.

Sapere che dopo tanta sofferenza si può costruire di nuovo una vita, con delle condizioni diverse da quelle precedenti, magari in un Paese in cui si è capitati e non si è propriamente scelto di arrivare, ecco, è questa consapevolezza che a me dà speranza.



mercoledì 30 luglio 2014

Condannare o rieducare?

Durante una delle attività di formazione che spesso svolgiamo per il nostro Servizio Civile, abbiamo affrontato il tema della Giustizia. Ci siamo focalizzati in particolare sulla condizione dei carcerati.
In altre situazioni avevo già approfondito questa tematica, ma la domanda che trovo particolarmente interessante è: davvero la prigione è il modo più giusto con cui una persona condannata possa scontare la sua pena?
Penso, infatti, che un carcerato non abbia possibilità di migliorare la propria vita più di un uccellino nato in cattività. La gabbia non insegna di certo a volare, così come al carcerato non si danno gli strumenti per tonare a vivere in società e guadagnarsi da vivere onestamente.
Ed è per questo che l’ordinamento penitenziario prevede delle misure alternative alla detenzione. Queste sono:

  1. L’affidamento in prova al servizio sociale: viene concessa dopo un periodo di “osservazione” del reo, il cui comportamento viene valutato idoneo a questo tipo misura alternativa alla detenzione. Il condannato passa l’intero periodo della pena da scontare o un residuo di pena in affidamento ai Servizi Sociali. Il percorso che sottoscrive il carcerato  può corrispondere a vere e propri mansioni professionali, a lavori socialmente utili o a programmi terapeutici. Non a caso spesso questa misura fa riferimento a particolari tipologie di  condannati: i condannati militari, i tossico- alcol dipendenti, i soggetti affetti da AIDS conclamata o da altra grave malattia.
  2. La semilibertà: dagli interventi della formazione emerge che questa è una misura riservata a pochi “privilegiati” che vi  possono accedere perché hanno contatti attivi sul territorio ( es. un lavoro o dei corsi di formazione in corso) che permettono al soggetto di passare l’intera giornata all'esterno dell’istituto penitenziario.
  3. La detenzione domiciliare: il presupposto per attuare questa misura è che il reo abbia un domicilio, e ciò non è sempre affatto scontato.

Chi ha il compito di decidere se applicare queste misure che permettono più facilmente al carcerato di imparare a “volare”?
Il Magistrato di Sorveglianza che vigila sull'esecuzione della pena ed interviene in materia di applicazione di misure alternative alla detenzione. È lui che decide se aprire la gabbia ma prima verifica che il carcerato abbia buone risorse nelle quali investire che lo portino poi a essere libero.

È qui entra in gioco l’UEPE.
L’ufficio di esecuzione esterna (UEPE) ha il compito di eseguire, su richiesta del Magistrato di Sorveglianza, le inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il trattamento dei condannati. In poche parole è l’Ufficio che può fornire al Magistrato di Sorveglianza dati utili a tramutare la reclusione in misura alternativa alla detenzione e che opera per assicurare il reinserimento nella società del condannato.  L’UEPE è perciò il Servizio - ponte  tra l’istituto penitenziario e la società nella quale il condannato dovrà costruirsi una nuova vita.

Perciò abbiamo una mano che apre la gabbia ( Magistrato) e una mano che aiuta il condannato a trovare mezzi e risorse sul territorio per imparare a vivere, oltre che a sopravvivere (UEPE).
Se però una di queste mani si chiude a pugno? Se non si valutano al meglio le capacità di buona riuscita del soggetto condannato? Insomma, se all'uccellino che prova a volare si tappano le ali…cosa ne viene fuori? Solo una brutta esperienza di reclusione dove si è capito che si è fatto qualcosa di sbagliato ma di certo non si riescono ad imparare delle buone soluzioni per rimediare davvero a ciò che si è fatto.


Il tema della Giustizia/ Carcere è sicuramente un tema delicato e forse è troppo facile dire che non bisogna solo condannare ma anche provare a rieducare, perciò dobbiamo fermarci a riflettere sulla buona riuscita di un programma detentivo piuttosto che un altro: dai dati emersi durante la formazione, risulta che i soggetti ai quali sono state applicate misure alternative alla detenzione sono molto meno spesso recidivi rispetto agli altri.
Allora forse sarebbe utile "sprecare" un pò del tempo della pena da scontare per imparare a guadagnarsi da vivere onestamente?
In fondo non tutti su questo pianeta siamo nati per essere Santi e forse alcuni sono stati costretti a non esserlo per sopravvivere in una società fatta di sfarzo e vanità.  Ma  proprio per questo dobbiamo fare un passo indietro e capire se chi definiamo “cattivo” lo sarebbe lo stesso anche se avesse avuto la possibilità di scegliere tra il bene e il male.

domenica 27 luglio 2014

150 giorni.


Il disegno, bruttino, è frutto della formazione di metà servizio. Il suo titolo è Moti ondosi che aiutano a crescere e rappresenta il 'mio' fiume dopo questi primi 150 giorni di servizio.. se continuate a leggere sicuramente capite il suo 'perchè'!

Sono stata in Albania, quando ancora c’era il dittatore comunista Hoxa, grazie ai racconti di un papà albanese immigrato in Italia quasi 15 anni fa.

Sono stata in Afaghanistan, con i talebani che minacciano e feriscono con coltelli tutti i ragazzi che non vogliono arruolarsi nell’esercito, così come hanno fatto con Issam. Dall’Afghanistan sono anche scappata, ancora piccola, con Abdul quando la sua mamma l’ha messo su un camion che doveva attraversare il deserto e farlo così fuggire dalla guerra e dal regime.

Sono stata in Ucraina, con i figli di Lyudmyla che coltivano l’orto ma non possono più uscire nemmeno per andare al lavoro perché fuori ormai c’è una guerra. E, in Ucraina, sono stata anche nella casa della sorella di Alina e con i figli di Alina, bombardata per metà. Per fortuna, o per destino, io e i bimbi di Alina eravamo nella parte rimasta miracolosamente in piedi.

Sono stata in Costa d’Avorio, con i figli di Ake che giocano con i nonni, ma non vanno più a scuola perché il loro papà, in Italia, non guadagna più abbastanza per poter mandare i soldi fin laggiù.

Sono stata in Pakistan, con Atif quando ha compiuto 6 anni ma non ha iniziato la scuola. E, ora, a 18, per fare la sua firma è costretto a copiare il suo nome che gli ho scritto io.

Per le vacanze sono tornata con Maria in Moldova, a trovare la sua famiglia. Figlie, figli e nipoti.

Per le vacanze, però, sono stata anche in Burkina Faso con Idriss a trovare la sua mamma che non riabbracciava da ormai 6 anni. E sua moglie. E sua figlia. E sì, certo che gli mancano..

Sono stata anche in Norvegia, con la famiglia di Amir, quando lui è stato ‘beccato’ e rimandato in Italia perché aveva un permesso di soggiorno che lì al nord lo rendeva clandestino.

Sono stata in Sicilia, con Mosson a raccogliere le arance quando, subito dopo il suo arrivo in Italia su uno di quei barconi che vediamo alla tivù, stremato ha iniziato a lavorare per non morire di fame proprio ora che pensava di 'avercela fatta'.

Sono stata in Perù, dal papà di Carmen mentre lui moriva e pensava a quella sua figlia ormai lontana, emigrata in Italia e che non era riuscita a trovare un po’ di soldi nemmeno per raggiungerlo in quegli ultimi momenti.

Sono stata a Pescarenico, in carcere con Giuseppe, dopo che aveva picchiato la moglie. E sono stata con lui anche su quella panchina in riva al lago quando è uscito e non aveva più niente.

Sono stata in Marocco con Zahara, quando ancora era felice perché in casa aveva una macchina da cucire.
In Marocco sono stata anche quando i genitori di Fatima l’hanno promessa sposa di un suo cugino e lei non voleva diventare grande e mettersi quel velo..

In Romania, poi, ci sono stata tante volte. Partendo da qui, ma sempre in pullman e mai in aereo..!

Dalla Somalia e dalla Siria, invece, sono scappata. Non da sola, ma con tanti ragazzi. Io, a 25 anni ero la più grande fra tutti loro.

Sono stata in Senegal con i sei figli di El Hadji che sono talmente numerosi che il loro papà non si ricorda mai le loro date di nascita. Ma quando è arrivato quel pacco di vestiti è stata una festa perché tutti hanno creduto che il loro papà, dall’Italia, pensa anche a loro.

Sono stata nella Repubblica Dominicana quando Ramon ha deciso di partire per l’Italia e raggiungere la moglie, perché a 60 anni non si riesce più a vivere senza la compagna di una vita.

Sono stata in Italia quando il secondo figlio di Elizabeth ha deciso di venire al mondo un po’ troppo presto.

Le storie sono vere. I nomi no. Per rispetto delle storie.

E le storie sono (alcune) di quelle che colorano il 'mio' mondo e che aspettano solo una porta aperta.
E se loro entrano, io, in qualche modo esco, da me stessa.

Le ho scritte così, come sono, senza abbellirle, senza addolcirle né indurirle. Chiedono di essere ascoltate. Mai giudicate. Mai compatite. Mai respinte.

Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
(Fabrizio De Andrè)

Per lo più sono storie di chi ha avuto il coraggio e la forza di andare..e la fortuna (o benedizione) di arrivare. Perché, sì, io ci credo che Migrare è un Diritto e Non un crimine..

(La foto è stata scattata a Berlino.. non in Italia)
Eppure, parlando con tutti gli Issam, con tutti i Mosson, con tutti i Ramon, con tutte le Elizabeth che ho incontrato in questi mesi, so che ancora troppe volte qualcuno li ha guardati come se fossero dei criminali.. e parlando con loro, mi è ritornato in mente un libro che mi ha aiutata a capire questo complesso 'fenomeno' che è la migrazione durante i mesi in cui ho scritto la mia tesi. Si intitola 'La doppia assenza', è stato scritto da un sociologo algerino, Abdelmalek Sayad ed è illuminante per la chiarezza con cui spiega cosa realmente significhi essere straniero.

"L'avvenire è sempre incerto. Costruisci, getti le fondamenta, se sei sicuro di vivere. Dici: è casa mia, la costruisco un pò alla volta, finirò per abitarla. Allora hai un avvenire, hai uno scopo. Ma qui, non vivono realmente, dal momento che non vivono come quelli di qui. Allora, nessuno qui ha un avvenire, nessuno è padrone del proprio avvenire. Non si è mai visto un futuro certo in un paese straniero. è come un orologio: gira, gira. Tutto qui. I giorni, i mesi, gli anni.. Sei in un paese, trascorri la tua gioventù, ci perdi la tua salute, lavori.  [...] L'incertezza vale per tutti: non è vivere, tutto quello che incominci a fare, dici che non lo puoi fare, dato che, prima o poi, non sai mai che cosa può capitare. Sei sul chi vive. E se..? E se..? E se ci rimandano indietro, che cosa sarà di me? Questa è l'emigrazione, questo è vivere da stranieri in un altro paese. [...] Il nostro elghorba (l'esilio) è come qualcuno che arriva in ritardo: arriviamo qui, non sappiamo nulla, dobbiamo scoprire tutto, imparare tutto." 

E se invece, qualcuno scommettesse davvero su di loro? Su Issam, su Mosson, su Elizabeth, su Zahara..?


giovedì 10 luglio 2014


1 2 3……. STELLA!

Uno dei compiti affidatomi dagli educatori della comunità dove svolgo servizio civile, è quello di accompagnare una delle bambine presenti allo spazio gioco.

Si tratta appunto di uno spazio molto ampio con giardino annesso, messo a disposizione da un asilo, dove far giocare i bambini accompagnati dalle loro mamme.

Mi piace l’atmosfera che si respira, gioiosa, divertente, famigliare.

 

martedì 17 giugno 2014

uno non può nascondersi per 40 anni

R: Dove sono i bambini?
E: I bambini? In che senso? I bambini sono a scuola...
R: Nono, intendo gli altri bambini!
E: Gli altri bambini?
R: Quando ero in Olanda, nel campo dove vivevo c'erano alcuni palazzi solo per uomini, altri solo per donne e poi delle piccole case, villette separate in cui vivevano le famiglie...e lì c'erano i bambini!
E: Ah, i bambini migranti! In Italia ci sono strutture apposite per ogni categoria: ce ne sono alcune (come Casa Onesimo) in cui ci sono solo uomini, altre in cui vengono accolti mamme e bambini, altre per minori non accompagnati e altre ancora per le famiglie. Queste ultime si chiamano SPRAR. Sai che ci sono alcune mie colleghe del servizio civile che lavorano in uno SPRAR? Pensa che mi hanno raccontato che in un occasione si sono trovate a dover "insegnare" a una mamma a fare la mamma! Non è un po' strano doverlo insegnare? Il fatto è che...
R: Non lo trovo così strano. A volte le mamme non vogliono fare le mamme.
E: E perché?
R: Perché odiano i loro figli.
E: E perché?
R: Perché sono state costrette a farli dai loro genitori.
E: Ah. Effettivamente non c'avevo mai pensato... E perché un genitore dovrebbe costringere i propri figli a fare dei figli? Non capisco...per avere una famiglia più grande?
R: No, per salvare la faccia. Così il vicinato, le altre persone non penseranno che tuo figlio è gay.
E: Capisco.
R: I genitori ti costringono ad avere una moglie e dei figli così nessuno penserà che sei gay. E allora tu odi i tuoi figli perché non li hai voluti, ti hanno costretto ad averli...
(pausa)
La situazione è piuttosto difficile in U per i gay.
E: Ma non c'è una comunità LGBT? Dei posti in cui possono andare, dei locali, delle associazioni...
R: Negli ultimi 5-7 anni la situazione è peggiorata molto. La comunità LGBT deve stare nascosta. Ci sono dei club in cui puoi andare e conoscere gente ma se gli altri ti vedono che ci entri allora è finita...è meglio stare nascosti e fare finta di niente.
(pausa)
Però uno non può nascondersi per 40 anni.
E: Capisco. Ma in U è illegale essere gay? Ci sono delle leggi contro i gay?
R: In quel momento ancora non c'erano leggi, ma comunque la polizia se sa che sei gay ti viene a prendere a casa tua per portarti in prigione. E in pochi escono per raccontare cosa succede dentro. Quando entri vedi tutte le pareti sporche di sangue e non vuoi sapere perché. Ti strappano le unghie perché pensano che gli uomini le tengano lunghe per sentirsi più femminili e allora ti vogliono togliere anche questa possibilità.
E: E non c'è un posto dove andare? Qualcuno che protegga o si prenda cura degli omosessuali? Qualche associazione...la religione?
R: Tutti odiano i gay: il governo, la polizia, gli imam, i preti...e nessuno li difende perché se no sarebbe messo sotto accusa anche lui e processato solo perché li difende.
(pausa)
E: Capisco.

Questa conversazione in inglese (la traduzione è mia, è libera, è letteraria) va avanti ancora per qualche battuta, con io che cerco di spiegare che in Italia sei libero di essere ciò che vuoi, che la polizia non ti metterà in prigione solo perché sei ciò che sei, che qui è diverso. Non sono davvero convinta fino in fondo delle mie parole, però la mia voce vuole manifestare convinzione accorata e decisa. Voglio fargli capire che qui è al sicuro, anche se lui non mi ha ancora esplicitamente dichiarato che è gay e io ho finto di non capire - continuando a parlare in forma impersonale ("loro", "i gay", "la comunità LGBT" "l'omosessualità") - e di non vedere le sue unghie. Il fatto è che, a mio parere, a priori uno non può nascondersi neanche per 40 minuti; figurarsi per 40 anni.




venerdì 13 giugno 2014

Effetti collaterali del Servizio sugli (in)volontari

Tutun tutun tutun tun....il treno in corsa procede veloce verso la stazione di Caronnno Pertusella come ogni mattina.
Io e Manou, mezze addormentate dall'orario mattutino, chiacchieriamo degli impegni
odierni di Servizio visto che abbiamo circa venti minuti di viaggio.
Dopo nemmeno 5 minuti di conversazione Manou si alza, mette lo zaino in spalla ed esclama:
<<Bene è ora di scendere!>>
Un  pò stranita mi guardo fuori dal finestrino. Novate.
<<Manou ma siamo a Novate....mancano ancora 6 fermate!>>
Manou si risiede e scoppiamo a ridere discutendo sui danni effettivi che il Servizio sta causando lentamente ai suoi neuroni.

Ma se Manou non è uscita indenne dal Servizio io non sono da meno!
Immaginatevi....

Mattinata calda e afosa. I tavoli del centro sono occupati da stoffe variopinte e da altri materiali per fare laboratori creativi.
Io e Manou stiamo selezionando le stoffe che più si avvicinano ai nostri gusti e intanto cerchiamo di “godere” dell'aria calda prodotta dal ventilatore.
<< Dai proviamo a fare una collana con la stoffa! Ti ricordi il sito nel quale avevamo trovato le istruzioni per farla!?>> domanda Manou.
Io annuisco e mi fiondo senza pensarci alla scrivania con il PC.
Mi butto letteralmente seduta sulla sedia senza guardare nemmeno dove stavo andando e ....PAM!!!!
L’impatto con la seduta di plastica dura della sedia mi fa sobbalzare in aria con le gambe aperte e una mano urta una penna sulla scrivania che volteggia nel vuoto prima di ricadere vicino al mouse.
Io guardo stupita Manou - che già se la rideva a crepapelle – e poi mi rendo conto che la sedia di stoffa morbida da ufficio era di fianco a me e purtroppo non mi ero seduta su quella sedia!
Volete sapere alla fine come sono venute le collane di stoffa?
Ehm ehm… non siamo riuscite nemmeno lontanamente a farle uguali a quelle proposte dal sito! Anzi, a dire il vero, non siamo riuscite nemmeno a farle somigliare a delle collane!!!

Insomma c’è chi esce dal Centro Sprar di Caronno Pertusella con qualche neurone danneggiato e chi con il fondoschiena ammaccato! Ma lo sappiamo tutti no?
Il Servizio Civile è una scelta che cambia la vita.... in fondo ci avevano anche avvertito!

martedì 10 giugno 2014

Bimbi di Casa Agorà

Questa è la scritta che abbiamo colorato io e tutti i bambini della comunità.
Ci siamo divertiti, abbiamo riso; è stato un bel momento passato tutti insieme.



lunedì 9 giugno 2014

Parole parole parole.. e TORMENTONI!

Buongiorno!
Oggi volevo parlare di parole... le parole... pesate, fuori luogo, di conforto, giuste o sbagliate le usiamo naturalmente, di impulso, ma sono il solo mezzo che ci fa definire comunità umana, riesce ad unire  le persone creando quella "strana" sensazione di comunione tra gli uomini..

E citando Mistaman: "Ci son momenti in cui non ne hai più, e cerchi quelle giuste per tirarti su, a volte ne hai spese troppe per riaverle indietro travisate e distorte, a volte sono vuote, a volte piene di sostanza, ci sono quelle vere, quelle di circostanza. Se una tira l'altra rischi che finisca a male, ne basta una di troppo per sforare. C'è chi vuole avere l'ultima, chi usa quella di Dio per una causa stupida, io le metto in rima e ci son soltanto loro tra noi come Mina."

Ma ci sono parole che ci identificano, che fanno parte di noi più di altre e allora (rullo di tamburi...) la comunità di CASA ABRAMO è lieta di presentarvi " LE FRASI TORMENTONE"

Ma prima di tutto un' avvertenza ai lettori.. frasi e situazioni sono reali solo i nomi dei personaggi sono di pura fantasia...e non si offendano i signori per le volgarità eventuali, ma questa è la verità e in quanto tale non ammette censure..

"Che cosa stai dicendo Willis??"

Ore 13:00 Martedì entrata in servizio, come al solito mi fiondo in ufficio per le consegne della giornata. Ercole (questo è il nome di fantasia che ho scelto vista l'energica figura che mi si para davanti..) è già lì che mi aspetta, la missione è una: devo accompagnarlo alla partita di calcio..
Ercole " Stefano, a che ora c'è la partita?"
Stefano " Partiamo per le 5 e mezza.. perchè dobbiamo essere lì per le 6.."
E.  " Va bene.. va bene.."
E. " Minchia va come sono diventato magro.. oggi li spacco tutti!"
S. " Grande Ercole! ti vedo che sei in forma"
E. " Cioè capito, non sto mangiando pasta da almeno 3 settimane, cioè capito.. mi sto sgonfiando di brutto!"

Da lettori intelligenti quali siete avrete sicuramente capito che il nostro caro amico Ercole "abusa"  leggermente del termine "cioè capito" ficcandolo una volta ogni tre parole... senza dimenticare la sua variante un po' più arrabbiata del "cioè non ho capito" che utilizza solitamente quando è in disaccordo con quello che gli si sta dicendo.. esco prima di beccarmene uno.

Non faccio in tempo a mettere fuori mezzo piede dalla porta che vengo trascinato nella tradizionale sfida di calcetto del dopopranzo..

Per la squadra rossa ci sono io e il mago di oz (..perchè gli somiglia). Dall'altra parte a tenere alto l'onore della squadra blu ci sono Roy e Linda (sì, proprio lei, la mia simpaticissima compagna di avventure...)

Stefano "Allora Mago come stai? sei carico?"
il Mago di Oz "Tutto a posto e niente in ordine... ahahahahaha" (risata generale)

S. "Dai partiti!"
Linda "O mi raccomando Roy"
Roy " Vinciamo.. questo è sicuro!"

Pronti via e 1 a 0 per i rossi al secondo 0,05.. L'azione è fantastica.. rasoterra del centrocampista numero 4.. palla al sette.. nulla da fare per il portiere..

Roy " Stefàno mooolto pericoloso!"

Incredibile amici! una partita a senso unico.. 10 a 2 in favore dei rossi...
La rivincita si preannuncia molto più complicata.. Ercole infatti sostituisce un affaticato Roy.. Si parte. Stavolta al secondo 0,03 è la squadra blu a passare in vantaggio.. il resto della partita  è tanto scontato quanto disastroso: 10 a 3 per i blu.. tutti sotto la doccia l'appuntamento è per domani stesso campo stessa ora.

Mestamente torno a svolgere il mio servizio.

Ancora deluso per l'amara sconfitta appena subita noto l'avvicinarsi  un ometto sul metro e 55, con un grande sorriso stampato in faccia che solo a vederlo già gli vuoi bene.. per di più dice di essere un grande poeta (e fidatevi lo è..).. attacca..

Grande poeta " ciao Stefano come stai?"
Stefano " bene, grazie.. e tu poeta come stai?"
G.P. " Bene bene.." (frase tormentone accompagnata dalla classica doppia pacca sulla spalla)
G.P. " Stefano.. Non è che mi faresti su una sigaretta?? Ciò qui il tabacco. La macchinetta le fa troppo strette.. eh! non tirano bene.."
S." Va bene.. dammi qua".

Esaudito il desiderio del grande poeta, eccolo apparire  in tutta la sua maestosità il mitico Manolo.. (ebbene sì.. questo è il mio tormentone.. ho infatti il vizio di iniziare spesso le frasi con l'espressione we mitico!... ma mai  tormentone fu più azzeccato in quanto il personaggio che sto per presentarvi ha veramente le caratteristiche del mito!).. veterano di Casa Abramo, espressione vivente della lunga tradizione sarda (quella più testarda), sempre pronto alla battuta o a raccontare qualche curioso aneddoto.. mi guarda di sbieco (come solo lui sa fare) e..

Manolo " we stefano, cosa ci fai qui? "
Stefano " Bè Manolo.. sai com'è sono le due e io inizio servizio all'una..."
M. " Ah! già!"
M. " A proposito, me la offri una sigaretta? "

..Signori e Signore qui mi fermo un attimo.. perchè sono lieto di presentarvi la mia frase tormentone preferita.. condivisa ampiamente con tutti gli operatori di Casa Abramo... coprite le orecchie ai bambini, salvatevi se siete deboli di cuore e preparatevi per un sonoro, eclatante, strameritato...

S. " Minchia, Manolo, Minchia! "
M. "(ride)"


Ride perchè sa già cosa succederà.. ma soprattutto sa che sono solo 13.35.. Gli offro la sigaretta, ne accendo un anch'io.. e aspetto... il prossimo TORMENTONE!






Memorie inaspettate


"Il frère con lui è gentile e paziente e noi siamo contenti che sia così.
Non ci domandiamo: "Perchè il frère preferisce Naji a tutti noi?".
Non ce lo chiediamo perchè a Naji vogliamo bene e le persone che amiamo è come se fossero noi."
Se non fossi egiziano, Ala Al-Aswani



Sul treno di ritorno, rifletto spesso sui racconti o sulle situazioni accadute durante il giorno, per custodire una piccola memoria personale, una memoria dove tenere le vite fragili che incontro. Quando conosci un pezzo di vita dell'altro, ti rendi conto che necessiti di dover creare uno spazio per lui, un ambiente dove accogliere queste storie con cui ogni giorno vivi.
Hai la consapevolezza che dev'essere una stanza dove poter rielaborare ciò che entra.
Lo ritengo un esercizio quotidiano, probabilmente un'azione che compiono molti educatori, assistenti sociali, psicologi, insegnanti, professionisti che lavorano con persone "spezzate". 
Provo a scrivere quello che accade di più significativo sul mio diario di bordo perchè le parole lasciate sulla carta rappresentano ciò che di più caro abbiamo, bloccando quell'evento, memorizzandolo.
Memorie fatte di buche, di scale in salita e in discesa, di muri senza porte e senza finestre che non permettono ad altri di prendere con sè quella sofferenza. Memorie senza confini.
In momenti semplici, quotidiani e inaspettati, queste porte si spalancano e quelle vite ti inondano. Impensabile, quella persona con te non ha un rapporto profondo, ti conosce da poco. Accedere alla memoria altrui è un'operazione difficile da compiere, in cui usare un'estrema delicatezza.


"La condizione umana, René Magritte"

Alle volte è proprio quando ti senti distante, non adatto e sconosciuto che per unirti e costruire quel ponte di relazione devi "deporre le armi" e dire "sono qui per te...se vuoi stare solo, va bene; ma se vuoi parlare un po', lo sai che ci sono...".



domenica 8 giugno 2014

Un'oasi di pace


Inizio, rassicurando i miei compagni di servizio dicendo che NON sarete obbligati a pubblicare anche voi il vostro terzo post.. tanto per ora vige ancora la regola (implicita) che Stefano e Fabio non hanno ancora pubblicato il secondo, perciò.. !
Solo che io sono appena tornata da qualche giorno di mare e, si capisce, che andare al mare a inizio giugno significa passare le giornate a conversare con i 'vecchi' sotto l'ombrellone e a cantare Batti batti le manine ai bambini della spiaggia.. per cui, tra una discussione di politica (l'unica che io ritenga vera) con agguerriti pensionati e una ninnananna per far addormentare le bimbe più belle del mondo, ho trovato finalmente il tempo per fermarmi e pensare un po'.



In questi mesi non avevo avuto molte occasioni per farlo perché tanti eventi si sono semplicemente susseguiti senza sosta.. nell'ordine, ho lasciato prima i miei libri di filosofia, poi i disegni colorati dei bambini con cui lavoravo e infine una metà del mio cuore. Anche se, niente di tutto ciò è stato lasciato per sempre..



Lasciare, per che cosa?
Per andare tutti i giorni in Caritas ad ascoltare storie 'assurde'.
Questa, d'impatto, potrebbe essere la mia prima risposta. Storie che sono 'assurde' perché mi sembra assurdo che una persona venga licenziata dall'oggi al domani e, dopo due o tre anni, non sia ancora riuscita a trovare un nuovo impiego. Oppure mi sembra 'assurdo' che la maggior parte delle famiglie straniere riescano a vivere, in Italia con tre o quattro figli, con soli 400 euro al mese.
Situazioni, queste, che per me sono diventate 'ordinarie' nel senso che tutti i giorni faccio i conti con una povertà concreta, fatta di famiglie che non possono più pagare gli affitti e ricevono sfratti esecutivi, di coppie costrette a lasciarsi perché quando mancano i soldi per comprare il pane o per mettere la benzina nella macchina diventa davvero difficile non incolparsi a vicenda e continuare ad amarsi.

Una povertà fatta di bambini che non possono fermarsi alla mensa della scuola o che, con l'arrivo dell'estate non potranno andare al grest perché spesso l'unico stipendio rimasto in famiglia è quello delle mamme che fanno le pulizie in qualche ufficio alla mattina. Povertà fatta di genitori che ammettono di non aver acceso i riscaldamenti durante l'inverno perché costava troppo, o di uomini italiani che piangono perché dicono di vergognarsi di essere arrivati a bussare alla nostra porta.
Tutte situazioni, queste, che stanno condizionando la mia vita.
Perché quando penso alla fame nel mondo non penso più a situazioni lontane, ma ho in mente i volti dei tanti uomini che, ogni giorno, si mettono in fila per entrare alla mensa di San Nicolò.. a un passo dalla Basilica.. a un passo dai negozi del centro.

Più volte mi sono chiesta:  e io, lo farei? Io, mi metterei in fila nella centralissima Lecco, con tutta quella gente che mi passa affianco e mi guarda?
E spesso penso: Ma no, impossibile, a me non succederebbe di finire così.. ma poi ripenso a chi sono i poveri che incontro e sono costretta ad ammettere che povero non è chi decide di vivere in strada perché non sa stare alle regole della società, come spesso sono stata abituata a pensare. Povero è anche quel signore di cui spesso, quando vado nelle scuole racconto la storia.
Un cinquantenne, come poteva essere mio papà, che aveva costruito una piccola impresa edile; tutto andava bene, i soldi c'erano, tanto da indurlo a comprare una nuova macchina. Poi la crisi. I clienti che iniziano a non pagare; lui che si fida e conclude i lavori pur andando in perdita e alla fine la decisione di dichiarare la sua azienda in fallimento.
Una storia che mi aveva impressionato e che credo porterò sempre con me, per il suo essere così 'comune' e così lineare nell'arrivare alla povertà. Non c'entrano dipendenze, scelte irrazionali, situazioni debitorie pregresse. Tutte condizioni, queste, che sicuramente ritrovo in molte altre storie che sento ma che rendono il tutto più complesso, più sfumato, e non così sfacciatamente semplice e comprensibile.

Di fronte a tutte queste storie spesso mi chiedo come posso stare e in che modo posso rispondere alle richieste, talvolta urlate e disperate e altre volte solo sussurrate..
Come posso io, con i miei 'soli' 25 anni stare di fronte a un uomo che mi dice di non avere più nemmeno il pane per i suoi figli? 
È una domanda forte, a cui non so ancora esattamente cosa rispondere.
Per ora, mi viene in mente solo una poesia, o una preghiera per chi è credente, di don Tonino Bello, intitolata Ti auguro un'oasi di pace:

E il pianto che spunta
sui vostri occhi
sia solo pianto di felicità.
E qualora dovesse trattarsi
di lacrime di amarezza e di dolore,
ci sia sempre qualcuno
pronto ad asciugarvele.
Il sole entri a brillare
prepotentemente nella vostra casa,
a portare tanta luce,
tanta speranza e tanto calore.

Ripenso alle tante lacrime già incontrate e che, con l'aiuto di chi ascolta con me, ho cercato di raccogliere. E allora mi rispondo, pur consapevole del limite di tale risposta che, per ora, io, Irene, non posso fare molto altro, se non cercare di essere un'oasi felice per chi si rivolge a me e agli altri volontari. Un'oasi di pace, in cui tentare, anche solo per un momento, di ritrovare calore, speranza, luce.
E, forse, non c'è metafora migliore per spiegare che cos'è la vita e quanto è complessa.. l'oasi è assolutamente inaspettata, e allo stesso tempo è ciò che più desideriamo quando attraversiamo i nostri deserti. L'oasi ti fa capire che c'è una grande dose di imprevedibilità nella vita, perché, come può esserci dell'acqua proprio lì dove tutto sembra morto?