venerdì 30 maggio 2014

Cambiare il mondo...si può?

"Se accettiamo il nostro compito di essere gli esseri illuminati del nostro pianeta, possiamo iniziare a cambiare il mondo. Realisticamente, penso che i cambiamenti avverrano lentamente, quando cominceremo a praticare atti di gentilezza ogni giorno, compiendo piccoli gesti per contribuire a rendere altre persone più felici. Forse la risposta è offrirsi spontaneamente per aiutare i meno fortunati, fare una cosa semplice come essere gentili e premurosi con qualcuno, senza chiedere o aspettarsi nulla in cambio".
cit. Brian Weiss in "Messaggi dai Maestri".

Cambiare il mondo...un'idea piuttosto ambiziosa ai tempi nostri.
Ho attraversato varie fasi di riflessione in merito a questo quesito, alcune contrastanti tra loro.
Quando ero piccola pensavo che si potesse cambiare davvero il mondo, il mondo di tutti. Un pò come ci insegnavano alcuni cartoni animati, in cui il Bene vince sempre sul male. Bei tempi, quelli.

Qualche anno fa, piena di buoni propositi e armata di una profonda volontà di fare del bene e di un'invidiabile ingenuità, partii per l'Africa.
A dire la verità non so bene neanche io perchè partii e avrei difficoltà a tradurre a parole le mie intenzioni. Volevo aiutare, fare qualcosa. Dopo pochi mesi in Tanzania iniziai a pensare che forse ero una povera ingenua. Quasi mi arrabbiai con me stessa, dandomi della stupida.
Cosa pensavo di fare? Cosa avrei mai potuto fare?
Iniziai ad elaborare riflessioni completamente contrarie a quelle con cui ero partita. Iniziai a pensare che, forse, io non ero nessuno per cambiare il mondo, il mondo di tutti.
La fame, la povertà, le guerre, le malattie, le ingiustizie. Chi ero io per porre fine a tutto questo?!

Il mio primo giorno in Tanzania fui ospite di una cara famiglia Swahili. Da buona Europea, limitata a determinate realtà, non ero mai stata ospite di una famiglia Africana, in Africa.
Arrivai in un territorio pieno di palme, meravigliosamente spoglio di ogni segno di urbanizzazione.
La "mama" mi accolse a braccia aperte e, con un dolcissimo "Karibu", il nostro "Benvenuto", mi porse un piccolo sgabellino di legno per farmi accomodare. Ci sedemmo sotto le palme.
Lei era alta, magra, molto magra, apparentemente stanca, con un sorriso bellissimo e gli occhi pieni di Vita. Parlavamo della difficoltà che ha incontrato per mantenere i suoi cinque bimbi  e delle problematiche del territorio. Parlando capii che non aveva acqua corrente e luce come gran parte delle famiglia africane ma, inizialmente, quei racconti mi sbalordirono.
Capii che non aveva una casa, o almeno una casa come la intendevo io.
Viveva sotto quelle palme. Aveva solo una piccolissima capanna di fango e paglia, che mi mostrò come se avesse la casa più bella del mondo. Ed effettivamente lo era.
Era piena di Amore, Dignità e Umanità quella casa, spoglia di qualsiasi altro bene materiale.
I suoi bimbi dormivano per terra. Non avevano un letto, nè tantomeno una zanzariera sul letto, di fondamentale importanza in quella zona paludosa per difendersi dalla malaria. Gli unici vestiti che avevano sembravano fossero quelli che indossavano, già consumati dal sole e dal tempo.


Mi raccontò che sua sorella era morta la settimana prima con il suo bimbo appena nato, a causa dell'incapacità dei medici locali di affrontare le complicanze legate al parto. Rimasi colpita perchè lo raccontò come se fosse... "normale", in Africa.
Parlammo del suo mal di schiena, anche questo normale, dal momento che ogni giorno sotto il sole cocente percorreva circa otto km tra andata e ritorno per riempire i suoi secchi d'acqua, caricandoli sulla testa come tutte le donne Africane, con un eleganza ed una semplicità che non avevo mai visto prima.

Io ero totalmente nuova a quelle realtà. Forse la conoscevo per sentito dire, qualche idea nella mia testa c'era, ma ritrovarcisi era davvero un altro paio di maniche.
Era il mio primo giorno in Africa.
Ascoltai quelle parole e quegli occhi con grande sentimento di impotenza.
Feci molta fatica a trattenere le lacrime e a maggior ragione quando, congedandomi, sparì per due minuti chiedendomi di aspettarla.  "Un regalo per te" mi disse, porgendomi una magnifica noce di cocco e dell'olio tratto dalle sue palme.
"Come vedi non mi manca nulla qui! La tua visita è stata un regalo bellissimo".
Mi abbracciò e mi chiese di andarla a trovare di nuovo.
Sforzandomi di capire, mi chiesi come fosse possibile che una donna già così povera si privasse di quel poco che aveva per darlo ad una sconosciuta.

Frastornata da episodi simili, tornai in Italia dopo sette settimane in un vortice di domande e senso di impotenza.
Morte, vita, sorrisi, pianti, tristezza, serenità, rabbia, tranquillità, disumanità, fratellanza.
L'Africa, una terra meravigliosa, dai mille contrasti che mi schiaffeggiò e accarezzò, contemporaneamente.
Cosa pensavo di fare? Di salvare chi incontravo? Da cosa?
Tornai a casa con la sensazione di aver dato niente e di aver ricevuto molto, la classica sensazione del volontario. E con la percezione che forse ero io quella che doveva essere salvata.
Assistii a realtà meravigliose e tremende allo stesso tempo.
Vidi bimbi in fin di vita,  malattie, fame, rabbia.
Vidi anche i sorrisi più sinceri e le anime più belle e  pure che io avessi mai incontrato.
Ero grata alla Vita per ciò che avevo ricevuto, per il Volto di Umanità e Fratellanza che mi avvolse come in un abbraccio materno.
Allo stesso tempo ero però molto arrabbiata, indignata per il volto triste che quella Terra mi aveva mostrato.
Inizialmente prevalse quasi il senso di frustrazione, di impossibilità.
Cambiare il mondo, chi, io? Ero quasi certa che avrei dovuto accantonare tutti i miei buoni propositi, che forse io non potevo fare proprio un bel niente.
Andai e tornai in Italia per diverse volte dalla Tanzania e dal Kenya, ricevendo importanti lezioni di Vita ed elaborando alcune riflessioni che mi accompagnano la sera prima di addormentarmi.

Non è importante fare grandi cose per "cambiare il mondo".
Da soli non possiamo certamente scatenare un cambiamento universale, magari fosse possibile!
Probabilmente le guerre, le ingiustizie ci saranno sempre. Ma questo non vuol dire che non siamo in grado di creare un mondo migliore.

Nessuno da solo può cambiare il mondo, quello di tutti. Ma forse è possibile cambiare il mondo delle persone che incontriamo e che interagiscono con noi. E questo lo vedo ogni giorno del Servizio Civile, presso il Servizio Accoglienza Immigrati.
I semplici gesti di bontà quotidiana, per qualcuno possono significare molto, anzi tutto.
Non sono necessarie azioni dispendiose, complesse, materiali.
Basta un sorriso, un complimento spontaneo, un aiuto a qualcuno che ne ha bisogno.
A volte una parole gentile è sufficiente, così come un gesto dolce, una gioia condivisa, una mano che aiuta.
Credo sia così che, poco alla volta, la nostra società potrà cambiare.
Il magnifico Dottor Brian Weiss di cui ho letto alcuni libri e che consiglio vivamente, sostiene che in questo modo "le persone si sentirebbero nutrite dai gesti attenti degli altri e gli atteggiamenti di paura e di difesa dovuti all'insicurezza comincerebbero a dissolversi al calore della gentilezza". cit.

Credo sia importante avvicinarsi a chi non conosciamo. Se riservassimo azioni benevole solo a chi conosciamo, la società non avrebbe modo di cambiare, di evolversi.
Se ognuno di noi compisse anche solo pochi gesti buoni ogni giorno, forse allora sì, potremmo cambiare il mondo. Almeno potrebbe essere un buon inizio.
Credo sia importante tenere sullo sfondo della nostre azioni l'idea che siamo tutti fatti della stessa essenza, ognuno di noi cerca di ottenere un po' di pace, un po di Amore e di sicurezza nella vita di ogni giorno.

Oggi, realizzo che è questo il prezioso insegnamento che ho ricevuto il mio primo giorno in Africa da quella splendida donna.
La persona "povera" non era lei. Ero io.
E il mondo si può cambiare davvero. Lei, il mio, l'ha cambiato... e ognuno di noi può fare altrettanto.

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