Il mio ultimo (ma non il primo di sicuro! perché ormai siamo
ben lungi dalla grande esaltazione iniziale da “faccio il lavoro più bello del
mondo!” ed era ovvio e normale che non rimanesse tale per 12 mesi di fila
senza neanche un piccolo cedimento, no?) argomento di riflessione preferito
è, appunto, la “giusta distanza” che dovrei interporre fra me e i ragazzi.
Il fatto è che sono rimasta scottata quando mi sono presa a
cuore la questione della scuola di W, un affare tanto personale e quotidiano
quanto se vogliamo banale, però la vita a Casa Onesimo è fatta delle piccolezze
e delle banalità di ogni altra casa (per non dire “famiglia” – che secondo me
qui non è proprio la parola giusta da usare) ed è giusto e bello così. Ho
cercato di fare in modo che le ottime capacità linguistiche di W potessero
sfociare in qualcosa di utile dal punto di vista scolastico e quando si è
presentata l’occasione di fargli frequentare le 150 ore della scuola media mi
sono posta in prima linea perché il professore responsabile lo conoscesse,
perché potesse avere molte ore extra di italiano (preparate sia da me che
dall’altro maestro d’italiano di Casa Onesimo) e perché potesse avere una
bicicletta con la quale andare a scuola. Mi sono presa la responsabilità di
fare in modo che non fallisse. E che cos’è successo? Che W per primo mi ha
chiaramente aperto gli occhi dimostrandomi una totale mancanza di fiducia nei
miei confronti, sia come maestra che come essere umano. E allora? E allora va
bene così, ogni utente/ragazzo/persona è fatto a modo suo e io non salverò
l’umanità da tutti i suoi mali con le mie 30 ore a Casa Onesimo. Sono stata scelta perché ho le qualità e le capacità per insegnare italiano? Insegnerò
italiano e basta. Del resto è per questo motivo che questo Servizio Civile mi
esaltava così tanto, no? Tutte le velleità da educatrice, operatrice sociale e
salvatrice del mondo sono venute dopo…
E quindi è ciò che faccio: l’insegnante di italiano a tempo
pieno, 2 ore la mattina e 2 ore al pomeriggio. È quello che so fare meglio ed è quindi ciò che
di meglio posso fare per aiutarli…no? Ma quanto è giusto che io vada a Casa
Onesimo tutti i giorni solo per fare l’insegnante di italiano L2? Quante
occasioni sto sprecando nel non avvicinarmi di più, se non a tutti, ma almeno
ad alcuni di loro? Non sarebbe cosa buona e giusta ascoltarli, farli
raccontare, farli sfogare, farli aprire? Aiutarli di più? Eppure.
Il fatto è che “la privacy va preservata” (a detta della
nostra assistente sociale e a detta anche mia, dopo aver fatto la non troppo
positiva esperienza di aver dato il mio numero di telefono a un ragazzo di Casa
Onesimo) e quindi è meglio non parlare troppo di noi, della nostra famiglia, di
dove abitiamo, delle nostre relazioni. E come faccio a far parlare degli altri
se non posso io per prima parlare di me? E come faccio a essere io? Eppure.
Eppure, mi trovo lì con il mio corpo e la mia anima e non possiamo dire altro che sia proprio io – e non potrei essere altrimenti. Sono io, nel mio ruolo, che mi impedisce di mostrare tutte le mie sfaccettature allo stato libero e grezzo, ma sono io che mi gioco in questo ruolo, io decido come muovere i passi e ci sarà sempre la mia impronta. Quindi sono sempre una gran chiacchierona e rido sempre sguaiatamente e parlo a
voce alta e faccio battute cretine, a prescindere da ciò che posso o non posso apertamente
dire di me stessa. Dunque la mia riflessione finale è che, evidentemente, il
posto che mi sono ritagliata io a Casa Onesimo è quello da insegnante e da
clown e va bene così. E ci sono altre persone che, in base alle loro attitudini
e capacità, si sono ritagliate altri posti e hanno altri ruoli. E va davvero bene così.
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