(Bambino timido costretto ad urlare!) |
Ogni volta uno strazio per me, che empaticamente, mi riconosco in questa timidezza e nel suo filo sottile di voce. Per questo, l'ultima volta che gli occhioni neri sono venuti a trovarci al CdA, avevo deciso di scrivermi a caratteri cubitali il nome del ragazzino sulla scheda della mamma, sperando di evitargli (e di evitarmi) l'imbarazzo del ripetersi della scena.
Oggi, quando il velo della mamma ha fatto capolino dietro la porta e si è accomodato davanti a me, ho subito guardato se era accompagnato, come sempre, dagli occhi neri del figlio e, riconosciutili dietro un nuovo paio di occhiali da vista, ho cercato in fretta la scheda della mamma, sono andata a cercare la mia scritta a caratteri cubitali e, con tono deciso e felice ho detto: 'Ma che begli occhiali nuovi che hai oggi MORAD!!!'
Lo sguardo complice e soddisfatto che noi, timidi, ci siamo scambiati, è stato carico di tante espressioni che i 'timidi' spesso non dicono con le parole usate da chi parla sempre a voce troppo alta.
Mi piace raccontarlo così, attraverso gli occhi di Morad e dei tanti bambini che incontro, il ‘mio’ servizio civile.
Attraverso lo sguardo dei più piccoli che accompagnano mano nella mano i grandi, spesso più ‘ingenui’, intimoriti e intimiditi perché ancora inesperti di una lingua così diversa da quelle con cui per anni hanno parlato di sé. I grandi che si ‘appoggiano’ ai più piccoli, e si affidano a loro, alle loro traduzioni fatte di parole semplici e grandi sguardi. I grandi che sembrano avere più paura dei piccoli e i piccoli che finiscono col rassicurare questi grandi ancora inesperti di un mondo (o forse solo di un paese) che conoscono appena.
I bambini, che conoscono già le lacrime, le fatiche, le angosce, ma che sanno come superarle.
Come S. e M., due fratellini che vivono in una situazione economica fortemente compromessa e che un giorno sono arrivati con la loro mamma. Lei, nel raccontare tutte le fatiche che ogni giorno la tormentano, è scoppiata in lacrime, lasciandoci senza parole e quasi senza fiato. Come possiamo aiutarla, mi domandavo. Poi ecco. Il suo bambino più grande l’ha coinvolta in un gioco che stava facendo con il fratellino e il sorriso è ritornato.
Mi piace parlare di loro, di tutti questi bambini che accompagnano i loro genitori al Centro di Ascolto, ovvero nelle fatiche e nelle lotte quotidiane per vivere dignitosamente.
Ce ne sarebbero, però, tanti altri. Tutti quei bambini che vivono con nonni, parenti, amici, in qualche stato dell’Africa o dell’America Latina, o dell’Est Europa, lontano dai loro genitori.
Ecco, di loro, per ora, mi fa ancora troppo male parlare.
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